La notizia pare vera.
Da Il Corriere:
Il destino scritto in un nome. A volte capita. Quando poi anche il cognome evoca imprese fuori dall’ordinario, allora l’impressione è che non debbano esserci dubbi sulla protezione della buona sorte. Si chiama Oscar Generale. Sembra inventato. Invece è ciò che risulta all’anagrafe del paesino di Rivarolo Canavese, dove lui è nato quarantun anni fa, che è la porta spalancata sulle valli di Lanzo. Gente sobria e schiva al punto da rifiutare la logica del turismo caciarone. Lui, Oscar, è l’opposto. Chiedere informazioni a Los Angeles. Sorridono. Un esempio di eccellenza Made in Italy che, in dieci anni, è riuscito a mettere in piedi un’autentica corazzata imprenditoriale intorno alla quale ruotano i nomi più celebri del jet set artistico internazionale. E anche in Italia la famiglia Argento, padre Dario e figlia Asia, stravede per l’amico: «Un grande che purtroppo gli americani ci hanno rubato».
Ora, però, Oscar ha deciso di conferire un senso nostrano alla sua professione di manager e produttore cinematografico chiedendo e ottenendo che quattro cavalli di razza formato Actor’s Studio si trasferiscano in Italia, anche in Versilia prima e a Firenze dopo, per interpretare loro stessi in un film già definito per titolo e regista: One more time, diretto da Paul Sorvino. Stellare il cast con Dustin Hoffman, Jack Nicholson, Al Pacino e Robert De Niro insieme. Un’idea tutta di Generale con i primi ciak previsti per l’inizio del 2014 all’interno della Capannina del Forte dove il produttore è stato festeggiato alcuni giorni fa e insieme con la sua compagna Denny Mendez, «pistoiese», ex miss Italia ’96.
Per realizzare il progetto, naturalmente, oltre all’idea ci vuole anche un fisico bestiale. Lei che, fisicamente non è un gigante… «Lo sono dentro. Più adrenalina che sangue nelle mie vene. È ciò che occorre per sopravvivere in un mondo di squali come quello del Cinema. Da un mese dormo quattro ore a notte. Sempre in viaggio lungo l’Italia per definire location e firmare contratti. L’altro giorno ho chiuso anche con Gerard Depardieu che si aggiungerà al cast dei miei amici americani e ora, insieme con Sorvino, sto tentando il grande colpo. Chiedere a Silvio Berlusconi di partecipare al film, come attore. Nessuna intenzione di parodia. Un poco come fece Andreotti nel Tassinaro di Sordi. Stiamo cercando il contatto. Per il mercato americano sarebbe il top. Lui dovrebbe vestire i panni di se stesso per una storia che, con grande rispetto alla memoria di Germi e Monicelli, sarà un poco come Amici miei in chiave californiana. Del resto Hoffman, Al Pacino, Nicholson e De Niro hanno accettato soprattutto per questo motivo. Vogliono divertirsi tantissimo, lavorando insieme».
Ma lei come ha fatto a sfondare il muro della diffidenza hollywoodiana per poi entrare nelle grazie delle star americane? «Usando la semplicità del ragazzo italiano che lascia il suo Paese, dopo qualche esperienza nel mondo del marketing e dello spettacolo, e che va a cercare fortuna oltre oceano. In America credono ancora in queste cose che per noi sono solo favole e ti aiutano. Certo, devi dimostrare di valere. Ma, soprattutto, contano l’onestà intellettuale e il saper mantenere la parola data. Mi hanno messo alla prova e ho superato l’esame».
La Cattolica di Milano l’ha ingaggiata per tenere un corso di lezioni agli studenti di scrittura, linguaggio e storia del Cinema. Lei non è laureato. «Manco diplomato, se è per questo. Come si dice, la mia scuola è stata la strada. Una buona strada, naturalmente, senza trasgressioni. Tanti lavori, spesso umili, e soprattutto la volontà di ferro che ti porta ad emergere grazie alle tue idee senza fare del male agli altri. Una filosofia di vita molto apprezzata dall’americano medio».
Adesso il ritorno in Italia. In Toscana dove, oltreché a Tropea e a Venezia, si svilupperanno le vicende della tribù hollywoodiana la quale compirà un viaggio di cameratesco e puro divertimento. «Ma non sarà la Toscana solita, quella stereotipata e da cartolina illustrata con la vista sui tetti di Firenze e le spiagge per ricchi. Sarà il trionfo dei borghi e della brava gente di campagna. Una terra che al Cinema, se osservata e scavata con occhio diciamo così neorealista, può offrire una serie di opportunità incredibili e soprattutto non scontate. La cultura non è soltanto data dal fascino estetico o ambientale e dai capolavori eterni. Negli Usa sono poveri di questa cultura popolare. Conoscono l’Italia delle cartoline illustrate. Ma non sanno, per esempio, che la Versilia avrebbe tutte le carte in regola per fare a gara con la Florida, se soltanto gli amministratori locali non fossero schiavi di una burocrazia che non ha più alcun senso. Ma è tutta la Toscana ad essere ricca zeppa di angoli a misura di uomo. E nel mio film saranno anche loro i protagonisti che gli americani dovranno imparare a conoscere».
E chissà che, magari anche in corso d’opera, il casting su suo suggerimento non pensi anche ad una particina per Denny Mendez. Non per il fatto di essere la sua compagna, ma in quanto toscana doc oltreché miss di un «titolo» rifiutato dalla televisione di Stato perché non più attuale. «Lo escludo. Denny mi sarà accanto e basta. In quanto al concorso di Miss Italia, lo hanno distrutto gli stessi creatori. Sei serate e sempre le solite facce, tra presentatori e affini. È ovvio che gli sponsor siano fuggiti. Occorreva cambiare format e costruire uno spettacolo in sintonia con i tempi che prevedono ragazze non più culo-tette-duecento-denti in gara soprattutto per raccomandazione. Negli Usa è tutto diverso. Tant’è, la gente dovrebbe sapere oramai che i vari talenti italiani di successo, come quello della De Filippi, altro non sono che il frutto dei saccheggi fatti dai nostri produttori nel mercato americano. Forse è anche per questo che continuerò a vivere a Los Angeles».
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