Lucifero crepitò in agonia silenziosa, nomade della solitudine, dischiuse le palpebre e spense i sorrisi “candidi” dei mostri, linciandoli a scagliar vetustà serena su torpor linciante della più “turpe”, sacrosanta”, esecrabile vendetta. Esangui urlaron sangue marcio, li torturò, avvizziti cosparsero pianti, gemettero inascoltati nel tuono dell’ira potente e morirono trafitti da una punizione divina!
Risveglio. Mattina mia albeggi florida in tal “purezza” smorzata dai vili assalitori, prima (in)coscienti e poi a tenaglie roventi di guascona “euforia” della malizia più mendace, irresponsabile, di pugnali alle anime.
Apro il frigorifero, il latte gorgoglia entusiastico negli occhi “briosi” dei ciechi in allodola verginella stronzetta. La confezione, di bella stampa in “copertina lucida”, ritrae il volto angelico della pubblicità erotica più “cosmetica” della bieca putridità incastonata a subliminale, “smagliante” camicia sventolante aria “profumata” di rancida campagnola per “eccitar” di tette granulose da burrosa. Il fascino orrido della plastica. E la donna ridente, che inclina basculante il seno a grembo procace, non m’allatta di piacer materno o suadente. Colgo nelle sue gote un rancido saporin sdolcinato da puttanona in calore, così come la sessualità è oggi ingorda nei fremiti promiscui del becero porcile losco. Lo carezzi e sembra liscio, ma è varicoso e d’arterie come un “semifreddo”. Il cazzo amaro del vostro menzognero gridar amore anche se è solo scaduto liquore. Io illanguidisco le iridi per farvi vedere come vi liquido.
Donna, ove s’elevavan rizzi i capezzoli turgidissimi di fiera femmina d’allietar in scrosciarle sperma verace, s’erge qui invece al dì una meretrice, la troia pavoneggiantissima a incitar i cavalli ché la svacchino in virginal “Gioconda” lieta di finta apparenza ma, giammai contenta, s’accontenterà di berseli in un sol boccone, fra bicchieri scremati, borsello da caroselli e parzial scosciar per inguinale salivar anche l’ultimo degli asceti indomiti ed eterei. Ella, da lavandaia ed “educanda” cortesia, con le sue labbra pittate al bon ton illusorio, eppur molto allusivo e laido, sgorga all’intrepida carnagione arrossante su rossetto di fragolina del “bosco” in cui concupirà i lattanti nella Milf pregna di gravido profumo “bianco”, come l’arcata gengivale di denti splendenti da (s)porca “pulita”.
Una bovina nel gregge e anche il pastore s’aggrega alle odierne, “felici” leggi di tal in verità urna ch’adombra l’amor davvero notturno. Quindi lupo. Non cinico ma evoluto dai cagnacci. Ella, cupida e sobria, appar mansueta e dolce, ma io scorgo fra gli angoli della sua bocca uno sfiorito esser già sbocciata, di bocce aver spremuto troppo gaudio del limon più armonico e oggi ammuffita nella fisarmonica logorata a balorda ludra del proprio lercio utero. Zucchero (in)filato! Sì, una bocca che spalanca le fauci da diavolessa accalorata e sprona la “guerriglia” ad “affinata”, mascherata e sconcia impudicizia d’altre “eburnee” sporcizie.
Qui vibra la tua paura, piccolo borghese al qual sarò scortese.
Ti spruzzo di panna, ecco il gastroenterologo a entrarti come la speleologia che, via via, spela ogni corpo tuo cavernoso e lo sventra a picconate del rampicante spaccarti rampantissimo. Forse, sono Rambo. E, di diagonali scorciatoie, prega la croce per non incrociarmi, oh oh mio impaurito fuggitivo! Questa è la mia crociata. Questa è la mia guerra. Santini, fottetevi! Mitragliate e riceverete il rincarar, incagnito, della dose appuntita.
Io son l’entusiasta vanità di chi la faccia frattura e se una ragazza giovinetta, quindi di tettine, deride il mio sorseggiar misurato dalla giovial tazzina, l’erutto la “sordina” allo scaraventarla in spiaccicata come vitreo frantumar anche la mascella del bue suo a suini. Con tanto di saetta a setti nasali e a bugiardi nasini!
Sì, festeggiate di pasticcini a passerelle con passerone e di uccelli truccati a “trionfi” in passeggiar vostro “invaghito” del sempre più assopirvi nell’assaporar la superficialità delle “figate”. Questa dolcezza è cremosa quanto il mio mascarpone. Che ti fa colar, da erculeo quale quasi Dio sono, in una valle di lagrime giù dalla scarpata. E te lo piazza di rosse scarpette.
Sì, con tanto di sughino maleducato al tuo sanguinaccio.
Ecco la pellaccia. Salvati! Scommettiam che salterai?
A me l’onore di guastar la festa e ogni mondina a immondo vomitarle una giusta “mondanità”.
Perché quando si esagera, io son il primo a (s)montarti, poi non batto… ciglio e coltivo quadrifogli a sfoltir il giardino del tuo “vicino”. Uno sposato a una cagnolina ma il licantropo è il Diavolo nel peperone.
Salta in padella, ecco il mio “abbraccio”. Che braciola! Scotti nel braciere?
E, quando cala la Luna, l’ululato è urlo violento. Iroso e peli che raschio.
Or dov’è finita la tua spocchia, pidocchio? All’erta e in guardia di “occhiolini”, son dietro il tuo “spioncino”. Ah ah!
E, “pulcino”, oggi t’è spar(at)o in viso.
Morale della favola: allattate i bambini al perbenismo ipocrita ma se, quando dal branco gli agnelli fuggiranno e saranno macellati, un sopravvissuto potrebbe far Male nel suo silence of the lambs.
Quindi, dopo le sculacciate, (s)cuoio.
Di tutto “Cuore”. Ti sfondo il culo. Mentre te lo recido.
Di netto, ecco l’inetto. Di denti da lattaio!
Le “tonne” son le colonne del sudor’, meglio il Canal del Glande al largo dal lagunar in questa mer…!
Sottotitolo: se una mi provoca, l’affogo.
E poi getto le ancore del suo “Ancora, ancora!”.
Ecco il “nodo” marinaio dell’aiuola “bagnata”.
Fine dei giochi…, il resto è una cozza. Una cagacazz.
Settantesima Mostra dei mostri in “Laguna”
Basta con le rassegne stampa, coi brindisi e chi stappa, mi strappo i capelli in segno di nazismo ai gerarchi e alle caste di Clooney. Io son la bancarella e mica come George, mai in bancarotta sul Lago di Como.
Al laghetto delle sue concubine, io capisco la “Gravity” del mio grave stato di reumatismi eppur remo finché la barca va… lasciala andare a far in culo alla balena. Ecco il “bikini” atomico! Che bomba “sexy”.
Che esplosione festiva, ah ah. Artificiali siete e morirete di goder in champagne altrui.
Baluginando, sì, vado a sfotter dal “faro” su scogliera di urlar “Evviva gli spaghetti allo scoglio!”.
E aggiungo il Sole mio del vino d’ottima annata, in anal fregata.
Sì, tutti già al Lido, mai al verde state miei ricc(i)oni, teste di cazzo prima a Riccione, eppur io passo col giallo, rosso di sera io spingo di “prua”. Avanti col motore, timonieri, assalite i timorosi del Cinema di Schrader. Fotteteli alla James Deen nella gioventù bruciata di questo porcil’ che han “costruito”. Di questa società che fa cagar eppur frivola scopa come Dio la manda a dir. Van tutti “a culo” oggi, son putridi, viziosi, guardoni e pur maneschi. Facciamoli a poltiglia.
Spremiamo il grasso che cola, ungiamo perché unge la vendetta! Più nera da Nerone!
Abbasso Venezia, va allagata subito. Ecco la metafisica! Bombardare sulla Parietti e sai che “gommone”.
Sgonfiate i seni rifatti e d’ago siate pagliaio a quelli che fuman le paglie sullo yacht di qualche stronzon’. Ecco la pancia a mollo!
Al mio comando, ardete le case dei villeggianti, i miniappartamenti dei turisti dell’ultima ora, sfollate gli alberghi, arriva l’arrotino dell’oceanico tempestarli di “frigobar”.
Basta! Non sanno nulla né di Cinema né soprattutto di vita! Ma che vita fate? Che volete (stra)fare?
Reportage d’un “normale” dialogo fra due “cinefili” di razza:
– Come ti pare l’ultimo film del regista Suka Minchia? S’intitola Tetsuo fatti i cazzi tua con la cibernauta cinesina androgina di Blade Runner e non spappolar u’ Asimov.
– Notevole, un po’ lecca lo spettatore ma c’è una giusta miscela tra furbizia e la malizia che non guasta, poi si scioglie raschiante verso la fine con troppe menate buttate via. Arrugginisce e non va liscio di olio. Un finale al burro quasi cac(a)o, diciamo, speravo in una botta conclusiva di natura robotica a distruzione nichilista del futurismo più sospirante. Pecca di retorica, eppur ha il suo retrogusto caldo, ti rimane dentro e te lo godi anche dopo essertelo sparato tutto giù. Comunque, verso la metà della porcata a muccio selvaggio-metallaro, s’avverte un non so che di disturbante tendente all’omosessuale col parrucchino in versione remake di look platinato.
Sì, un film che “inonda” come sperma del cioccolataio che meglio “guarnisce” il prodotto a metà fra il darsi via sul p(r)ezzo ridotto e uno stracciarlo nel pistacchio in stracciatelle di Nutella con yogurt all’amarena. Il tutto diluito con la paletta dei magnoni in Sala Grande.
Il miglior film sarà Joe. Perché io ho sempre ragione io, eh!
Storia autobiografica che sembra sfigata e invece ha capito tutto.
Più che far il viveur fra gli zombi, l’antieroe sceglie la montagna.
E pure la barba da “barbone”. Passando il Tempo a regredir, barbarico, con un “bambino” più adulto dei cosiddetti adulti. Guarderanno la foresta e penseranno che quella di Sandra Bullock è da radere al suolo.
Ad accetta “spazial” di come adesso la vedi sulla sedia a rotelle, mignotta? Ronzano i soldi. Oscar interplanetario.
Si rivelerà l’unico sano di mente in una società che fa onestamente schifo.
Sì, vanno un po’ tutti a puttane. Quindi, amputateli subito.
E vedete di non rompere più.
Altrimenti, oltre a cambiar casa, cambieranno pure il casco. Ammesso che non faccia cascar un masso di pugni sul cranietto da dementi.
Nichilismo? Solo credo nel mio Cristo, mio fascista! Son pazzo come Kinski, meglio di te che fai scopa con la scema.
Otterrai tre cicorie e la tua (c)oca forse nel papero.
Sputami un puah e stai bene qua. Datti alle zoccole, e nun scassar u’ babà. Ah ah. Io vivo a Londra, domani ne ho ben donde.
Ecco che onda! Ti urta!? E allora datti alla scialuppa con una di scaloppina. Da me, sol che groppo in gola e ti strozzo.
E ricordate: accattatevi al tram.
Non attaccatevi, penso io ad appenderti al chiodo.
Firmato il Genius
(Stefano Falotico)
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