Archive for July, 2013
“Il lungo addio”, numero 74 di Dylan Dog by Falotico e Viola
Non sono il 67 di “Shutter Island” ma il n. 74 di Dylan Dog, “Il lungo addio”, qui doppiamente recensito dal sottoscritto e da Gianluca Viola
Su Facebook, ieri Notte vengo contattato da Gianluca. Avevo lasciato le casse al massimo, e mi stava prendendo l’abbiocco. Quando all’improvviso ecco la chat che spacca i timpani
– Ciao Ste. Ho da proporti una collaborazione?
– Ciao Gian…, dimmi.
– Hai mai letto “Il lungo addio” di Dylan Dog?
(Qui divento totoiano…) – Questa è bella, è bellissima. Uno dei miei numeri preferiti in assoluto. Insomma, quel fumetto è la storia della mia vita. Lo lessi in Terza Media, all’epoca volevo scoparmi una certa Tiziana, n’ro innamorato.
Poi, sono diventato l’indagatore dei miei incubi. Quindi, mi son risvegliato e Lei s’è sposata con un morto vivente. Secondo me, adesso rimpiange il mio “becchino”.
E dire che quel Pierre, suo coniuge, prendeva ripetizioni da me alle elementari. Mah, “alimentandosi” avrà limonato meglio di baffi. Sì, il cognome di codesta è Laffi.
Ricercatela su Facebook. Se mi denunceranno gli sposi, io non mi sposerò mai come Dylan Dog. Di mio, cazzeggio. Perciò, querelassero senza querimonie.
Ho qualche amico, uno “immaginario”, la mia coscienza del Grillo Parlante, si chiama Groucho Marx. Caccia delle freddure che fan vomitare, ma cucina bene. Battute scatologiche tipo “peti” alla Ugo Tognazzi.
Non so come prenderlo, mi sa che mi piglia per il popò. Da cui il detto “Dio li fa e poi li accoppia”.
Infatti, ho il fegato spappolato. Mah, non è colpa solo di Groucho e della sua “arte” culinaria, diciamo che alla “porzione” van aggiunte le mie palle senza il culo di Tiziana.
Mi consolo con l’insalata. Non è acida, a differenza di quell’anatra all’arancia (meccanica?) di suo marito.
Bene, veniamo a questioni più serie.
Non perdiamoci in puttan(at)e.
Anche se, ribadiamolo, quel sedere è grosso più della mia fortuna. Non è un grande sedere a “darcela” tutta ma, considerando il mio notevole uccello “sognante”, c’è di che piangere.
Questa è rima baciata. Molto alla Sconsolata…
Queste sono le recensioni…
L’esoterico indaga, c’inebria in st(r)ati sottili, impermeabili ove riaffioran le memorie dimenticate.
Una certa Marina Kimball è il nostro risveglio, la vaghezza adolescenziale d’una vacanza al mare, innervata di tuffi “suicidi”, d’immersioni nell’acquatica danza del nostro fanciullo romantico.
Quando, nelle profondità aromatiche, “annegammo” a visioni roboanti e un galeone pirata c’apparve prima del singhiozzo letale che forse fu solo tramortirci di amore. Ah, il tramonto…
Bionda, delicata, in costume da infarto, o bambina anch’ella come te, Dylan Dog, che credi all’esistenza del paranormale, spauracchio “cimiteriale” tu stesso contro la scienza e la medicina “ufficiale”.
Tu chiacchieri con Groucho Marx, spettro di un altro inesistente tuo vivere d’altre dimensioni, e credervi in un Mondo che non dà più valore ai sogni, alla metafisica, all’eccelso involarsi per oceani dell’irrealtà cangiante, a evocarti ere fertili di fantasie, fecondissime di miti e leggende.
Quando la gente si raccoglieva attorno a un falò e, nel crepuscolo della sera, partoriva storie dell’orrore, “mostri” alla Mary Shelley, e si vampirizzava con Dracula, mutanti, epigoni ed epopee sul plenilunio dei licantropi.
Altri tempi, li rimpiangiamo, noi figli di quel Dio intrepido del Cielo fra gli alti monti, sacro a “maledirci” da notturne creature ombrose, quindi lucenti più del diamante nei venti delle praterie americane. Adiacenti…, alla diaccio!
Grotte, spelonche, donne letiziose e sublimi baci incantati anche a marina palpitazione delle nostre intimità svelate, noi che sfidammo il vaso di Pandora e lo scoperchiammo, timorosi solo d’esser travolti dall’essenza animistica, celtica, vitale in grazia delle nostre anime.
Noi, “animali” dell’underground, fumetti viventi fra questi zombi “tranquilli”.
Ogni evento non è mai un caso e tu Dylan recitasti alla tua bella un “Chi ti vuole bene, ti fa piangere”.
Lei se la segna, il tuo Cuore è (as)segnato. Facile bersaglio mio Dylan, gentile, tenebroso, affascinante e proprio figo, nonostante talvolta perdi la bussola e anche la strada.
Svolti a sinistra, sei sicuro che nelle campagne londinesi non si debba tener la destra e che le strisce bianche son dritte e non di sbilenca via traversa. Chissà, finalmente quella giusta, ti trovo bene, “indossi” la belt(à) di chi ha la testa a posto, speriamo non scoppi il volante del tuo volubile troppo d’umori traballante. Tu Dylan che rispetti solo il tuo codice, “penale” per gli assassini e amico dei freak. Che cazzo di strano Uomo.
Auto-centrato, sempre in balia dei suoi deliri, ma ti piaci anche troppo. Quindi, chi esagera, merita il massimo. Questa è mia, Falotico. Stringimi la mano, succhiale il collo, t’ha già morso quella.
Insomma, amala senza fronzoli, spicca di nuovo il volo. Spacca il culo! Troppe indagini han reso Dylan stanco.
Devi innalzarti, mio Cavaliere Oscuro. Non imbarazzarti, imbizzarriscilo, Lei ti vuole, tu la vuoi e uno più uno non fa solo due amplessi ma scopate tutta la Notte…
Moltiplicandovi in un corpo solo. Intanto, fuori piove, tuoni e fulmini, che tempesta e Lei si rimette la vestaglia.
Che figa così illuminata dal Sole appena desto, e tu sei maleducato e maldestro. Non le offri neppure la colazione, che coglione.
In questo “Il lungo addio” non succede nulla. Tutto un ricordo che sfarfalla, la farfallina di Marina, fra un’autoradio che “batte” i Beatles, il solito Dylan Dog finto scontroso, coi suoi adorabili capricci, un po’ di metallo pesante nel cervello, ma forse vuole solo del tè.
Allora Marina dagli del Tu e, fra il dire e il fare, è passata un’altra Estate. Ah ah!
(Stefano Falotico)
Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, neppure una reminiscenza. Il peggio, una volta sperimentato, si riduce col tempo a un risolino di stupore, di essercela tanto presa per così poco, e anch’io ho creduto fatale quando si è poi rivelato letale solo per la noia che mi viene a pensarci. A pezzi o interi, non si continua a vivere ugualmente scissi? E le angosce di un tempo ci appaiono come mondi talmente lontani da noi, oggi, che ci sembra inverosimile aver potuto abitarli in passato.
Partire dall’incipit di uno dei migliori romanzi della nostra letteratura moderna, “Seminario sulla gioventù” di Aldo Busi, forse permette di avere una miglior e maggior visione del testo di cui si parla in questo spazio. L’anonima mestizia pura e semplice che si prova nel confrontarsi, la maggior parte delle volte, con il proprio passato, di tanto in tanto, produce solo semplici amarcord sognanti e lacrime di coccodrillo, inutili. La nostalgia è il sentimento più melò di tutti, più dell’amore. Il rimpianto è un evergreen, va bene per tutte le stagioni e per tutti i tempi, ed è anzi difficile non comprenderlo in sé e per sé, è più facile comprenderlo quando si tratta di altri… è facile tornare con la mente, a meno di malformazioni cognitive di memoria, al proprio passato remoto, nonostante esso sia più remoto che remoto non si può. A tutti sarà capitato, volgarmente a volte, di tornare al passato, nonostante si volesse restare coi piedi ben piantati nel presente. Un lungo addio è quello che si predispone in questo caso la storia: cos’è un lungo addio? C’è antitesi tra i due termini, e sì che l’addio indica qualcosa di lungo, di eterno, ma il momento dell’addio deve essere un qualcosa di rapido, di scattante, affatto lungo. Quando un addio diventa lungo, diventa automaticamente un arrivederci forzato e forzoso. Ed è quello che succede a tutti gli amori passati, a quelli che non si è riusciti a trattenere. Chissà cosa resta non solo del dolore, ma anche del piacere che si prova da giovani? Cosa diventa nel lungo andare, nell’eterno, non più nell’immediato, il piacere che si prova da ragazzi? Tutta questa spropositata dose di piacere, rimane intrinseca in ogni mini particella di noi esseri umani, o si disperde, come il polline di un fiore, portato via dai devastanti pungiglioni del tempo che passa? Innamorarsi da ragazzi non solo è facile, è d’obbligo. Sentirsi dire “ma di che ti vuoi innamorare, che hai quindici anni e non puoi capirci un cazzo”, come se ci fosse l’età corretta. E invece è stato (per me è ancora) il tempo dei baci sotto la pioggia, dei bigliettini nei corridoi scolastici, delle sbronze con relative urlate in faccia all’amata. E delle vacanze estive, sì. Credo che ognuno possa rivedersi, anche minimamente, nella storia di questo “lungo addio”. L’amore regalato e poi perso, così, quasi inavvertitamente, su una spiaggia, un mare, uno scoglio, una riva. La bellezza segreta che sta nell’attimo in cui ti rendi conto che stai per fare qualcosa che non potrai mai più ripetere. Puoi vivere con un tale per vent’anni e considerarlo un estraneo. Puoi passare con un altro venti minuti e portartelo dentro tutta la vita, scriveva Oriana Fallaci. E così forse accade per gli amori passeggeri, quelli estivi, quelli persi, forse volutamente, forse lasciati andare per troppa paura. Mi viene in mente una vecchia canzone di Georges Brassens, “Les Passantes”, che racconta dell’amore possibile che non si crea mai, con tutte le donne che fanno da contorno nella nostra vita, le sconosciute con cui non parliamo fisicamente, ma con cui, magari, i nostri occhi fanno l’amore. Ed è un po’ così che accade anche con quelle donne che magari conosciamo, incontriamo, “possediamo” per un po’ di tempo, e poi lasciamo andare via, così, senza motivo. Quelle stesse donne che forse amiamo per sempre, senza accorgercene, pensando di averle dimenticate. A tutti questi amori è dedicato “Il lungo addio”, forse il miglior Dylan Dog di sempre. Una poesia delirante e onirica sull’amore che ritorna, contro ogni preavviso e contro ogni forza esterna, l’amore che vince, che distrugge ogni barriera d’ovvietà (persino Groucho si piega, nella sua serietà improvvisa, a quest’amore), l’amore che ama ed è riamato. Scrive Rilke, “chi viene amato passa, chi ama resta”. Ma dove resta? In cosa resta? In dei gesti precisi (portarsi indietro i capelli), in eclamazioni(Giuda Ballerino!), in dialoghi (Senti… Cosa? Niente), in luoghi (il luna park, la ruota panoramica). Un albo che celebra l’intimità del sentimento del ricordo innanzitutto, con echi proustiani evidenti, credo che in esso siano raccolte tante esperienze condivise da larga parte del pubblico. E quindi, la prossima volta che vedete una stella cadente, pensate a un ultimo desiderio riguardante il vostro passato. Magari che lui o lei vi possano accompagnare per quell’ultimo viaggio, quello più strano e difficile. E dunque, “che cosa resta di tutto il dolore che ho creduto di soffrire? Niente, soltanto delle reminiscenze contraffatte, delle fiabe apocrife.”
(Gianluca Viola)
Questo è il video, sparatelo!
Robert De Niro 2013-2014, qualcosa di buono, qualcosa per nulla!
l Cinema del prossimo anno si prospetta quasi pessimo, già visto, meglio dei personaggi televisivi! Panoram(ic)a sulle pellicole con Bob De Niro
Osservo e scruto nella filmografia di Robert De Niro, mio attore preferito per antonomasia nel confronto rivaleggiante, eterno col grande Al Pacino.
E gemo, perché ci son solo pochi Bob interessanti. Di Pacino neanche l’ombra…
Di Being Flynn, vedremo il Dvd italiano anche di “straight”. No, manco di striscio. Film troppo “barbone” per piacere al pubblico d’oggi che si fa distrarre da Gabriel Garko con la r moscia. Da cui il detto: “Guarda com’è bono Gabriel ma donna ricordati che sei figlia di Maria, non toccarti troppo altrimenti l’Arcangelo ti sarà sgarbo”. Già, Vittorio Sgarbi urla “Capra” e intanto va a Capri.
Eh sì, accendo la Tv e vedo la semi-scosciata Daria Bignardi di tacchi basculanti nell’oscillar su microfono “virilizzato” all’intervistato di turno, per patetici “Scambiando quattro chiacchiere, io donna con le gonne lunghe, tu ospite di questa trasmissione noiosa, ma pigliamola al balletto, è bella così”. Secondo me, rimane una racchia, nonostante il taglio di capelli che vorrebbe accennare al tuo ciuffo al gel di Tutti pazzi per Mary. Sì, sì, se fosse la mia donna, mi romperebbe coi suoi quiz per risalire alla mia erezione anomala quando ammiro Bob De Niro. Mi consiglierebbe Jude Law, perché ama gli attori radical–chic con stempiature da maschi acculturati, quindi spremendosi il cervello han perso qualche capello. E tutto ciò fa gnocco. Mah.
A uno come Jude Law, darei solo la parte del mio calcio nel culo raffinatissimo. Premiandolo di fermoimmagine ai suoi quadricipiti prima che gli si rompano i testicoli. Deve ringraziarmi, è grasso che cola, come il sebo delle alopecie androgenetiche.
Spingo “tutto”… il telecomando su Sky, alla ricerca di qualche classic sul canale che dovrebbe proporcelo.
“Scelgo” di “mano morta” il film La videocamera Sony, sonnolenta, per l’ultimo flash innamorato di una Nikon. “Capolavoro” pulito in riprese sessuali sghembe, “guardone”, tendenti al virtual sex sgranato nel “digitale” e tanto dizoom vedo-non vedo perché hai scattato l’orgasmo mentre ho coperto l’inquadratura col mignolo sinistro, causa la fretta d’immortalare l’attimo. I protagonisti sono un “uomo” figlio di Tsukamoto, “robotizzatosi” nel “vivere” il suo uccello misogino, figlio della generazione dei cellulari touch…
L’antagonista è una “chiavetta” USB che ficca spesso un Macintosh rovinato dall’usura degli strozzini, a stampante di soldi estortigli con tanto di scanner alla Cronenberg.
Il film finisce coi due androidi ridotti come roditori.
Sfilo Bob De Niro, ma il suo neo è appannato.
Durante le riprese di C’era una volta in America, si disse che ebbe una “tresca” con Moana Pozzi.
Adesso, sta andando a puttane completamente una carriera da “Leone”. Poco serioso e per niente alla Sergio.
Da toro ex scatenato molto seduto, con ravvisabili macchie senili su capello nei capezzoli brizzolati della moglie nera con parrucca e tinture vicendevoli, durante le folate sumanti vicino al Lago di Como, ove passa le estati con George Clooney e si scambiano i “mutui” delle vill(an)e.
Tanto ne hanno da potersele regalare a vicenda. Una anche a Vicenza.
Elisabetta Canalis al Festival di Venezia, oramai sempre attricetta dopo la separazione dal Giorgino, con tanto di inculatina e forse anche lo scolo.
Sì, George non usa mai il profilattico, perché in verità è gay passivo.
Passiamo oltre. Sono cazzi suoi.
Ma Vincenzo non ha neppure un ponte sotto cui dormire. Da cui il detto: “Paraponziponzipò, ogni tre passi in avanti finisci in un film di Pasquale Pozzessere con Antonella Ponziani, mentre Renato Pozzetto aveva la panzè e ora è panzon’”.
Non mi sento bene, noleggio Hi, Mom, lo studio attentamente. Domani un palazz(inar)o in meno.
Guardo la locandina di questo De Palma, con la manina del Bob strafottente a risaltar di primo piano che mi fa occhiolino.
Mi riconosco ancora in Lui, nonostante tutto. Sembra che ti dica “Salutam a sorrata”.
Comunque, trascurate le inculate e le esplosioni varie, del Cinema d’un Tempo è rimasta solo la litografia di molte fighe di legno e di qualche pezza al paraculo. I giovani pseudo registi di oggi son dei pezzenti.
Anche solo per girare uno spot del tappetino-mouse, venderebbero la loro madre ad Andrea Diprè.
Spezzaron i sogni, che di merda pezzi. Da me, solo che pugni.
Ma concentriamoci sul Bob.
Killing Season:
qualcuno l’ha già caricato full addirittura su “YouTube”. Me lo voglio gustare però in alta definizione Blu-ray quando ad Agosto riceverò la copia personale.
La curiosità è stata comunque troppo irresistibile. E ho “spizzicato” qualche scena.
Ora, il film ha una sceneggiatura “black list”. I cinefili san meglio di me che stavolta “lista nera” significa esattamente il contrario.
Si tratta di quel mucchio di sceneggiature strepitose che vengono “scartate” da Hollywood proprio perché, il colmo eh, troppo difficili per il grande pubblico.
Quindi, quasi nessun produttore si sente di spenderci dei soldi, anche se il materiale scotta, come si suol dire.
Inzialmente, a dirigerlo doveva essere John McTiernan. Anzi, doveva segnare esattamente il ritorno d’un maestro dell’action, schiacciato da quel flop colossale ch’è stato Rollerball.
Be’, Predator, Trappola di cristallo e Caccia a Ottobre Rosso vi dicono nulla? Cazzo, parliamo di un mezzo genio.
Secondo me, dopo questi tre film, può anche aver girato Last Action Hero ed essere benedetto lo stesso nell’osanna dei cieli.
Anche se questo eroe è last but not least, con tanto di citazione di Scharzenegger shakespariano, essere o non essere recitato, eh già, da Arnold. Ce ne rendiamo conto che stronzata meravigliosa è codesta?
Ora, John ha simpatizzato con Travolta Don Giovanni dopo Basic, fra l’altro il suo ultimo film a tutt’oggi.
Gli propone la sceneggiatura e John: “Cazzo, buona questa roba, molto buona cazzo”, detto simil Pulp Fiction. Forse, assieme a Face/Off e … Bobby Long un John coi controcazzi.
Per il resto, vedo molte porcate. Ma cagate secche, non si scherza mica, eh eh, robaccia tipo Swordfish,Phenomenon e Michael. Insomma, roba da cazzone Travolta appaiato al Bruckheimer Jerry con West Simon pocomercenario ma assai marchettaro.
John vuole tornare a lavorare con “Quello a cui dà gusto mangiare la patata”, il troione Castor Troy, cioè quel puttaniere, attorialmente e non, di Nicolas Cage.
Per un altro scontro bifront(al)e.
Ma il produttore dice “No” e lo dice a bestia. Il film, così come lo vuol girare McTiernan, potrebbe sì rivelarsi un capolavoro ma incasserà quanto un negro al semaforo d’una periferia di Lecce.
Spunta Avi Lerner, il volpone della Millennium, casa produttrice che, ogni cinquemila film sotto la sua “egida”, ne azzecca uno prima ch’eleggano un altro Papa.
Avi è amico di Bob De Niro. Il Bob con Avi può “vantar” film che hanno dato davvero “lustro” alla sua carriera.
Righteous Kill è un fottuto film, molto poco stimato. Vale già per le tette di Carla Gugino.
Il resto è una minchiata ma Al “deperito” e Bob bolsissimo fan la loro “porca” figura. Bob si fa appunto quel figone di Carla in una relazione “impresentabile” e assai “verosimile”, Al tenta di farsela per tutto il film, ma non vuole tradire il suo amico.
Tanto che lo chiama, dopo un piatto di spaghetti all’italiana (o forse erano dei maccheroni?.. sì, delle penne…) ma, non essendo sazio, deve ancora scazzarsi.
Al bar, Al riferisce a Bob che ha trovato il modo per curare il suo male di vivere.
Annota sul taccuino tutte le pollastrelle coi tacchi che gli spaccan le palle. E ne soffre, non riuscendo a “entrare” nella loro “forma”… mentis femminista.
Insomma, quel taccuino è come il fazzoletto di un onanista. Lì raccoglie il “seme” della sfiga. Così, si “sfoga” e si svuota.
Adesso, rivelo lo spoiler. Bob lo tranquillizza senza prescrivergli i farmaci psichiatrici, ma il serial killer è proprio Al.
Su quel taccuino, ci son per filo, per segno e per “spago” tutte le “terapie”. Cioè, il numero delle persone che ha ucciso.
Bob lo scopre, vuole arrestarlo con la condizionale della sua amicizia ma Al gli grida: “Che poliziotto sei? Uno come me come me va ucciso. Sparami, dai, ribaltiamo il finale di Heat”.
Bob De Niro finirà solo come un cane, perché Carla Gugino intanto s’è messa (a novanta, eh sì, è la segretaria…) con John Leguizamo.
Mah. Secondo me l’assassino era una Carlito’s Way.
Torniamo a Killing. Ci sono tre “gatti” in tutto il film. Non è un modo di dire ma compaiono solo John Travolta e Robert De Niro con l’apparizione di Milo Ventimiglia che si sente senza padre alla Rocky Balboa.
Per il resto, una stupenda fotografia, un’ottima colonna sonora, qualche idiozia che dura due ore, la durata del film, e i Monti Appalachi con i cervi de Il cacciatore.
Voto: a prima vista 10, ripensandoci 8, mi tormenta e gli do uno zero assoluto.
Grudge Match: secondo voi è credibile un raging bull, che il 17 Agosto compierà 70 anni, nella parte del pugile che si fotte Kim Basinger?
Secondo lo sceneggiatore sì.
Last Vegas: nel trailer compare anche la pornoattrice Kortney Kane. Per chi non la conoscesse, una delle più grandi super-zoccole della Storia.
Ecco, se Kortney avesse girato un hard con questi quattro mostri sacri, il video della Belena sarebbe finito “massacrato” in ultimissima “position”. Invece, Sara Tommasi ne girerà ancora, mentre Valentina Nappi esige Siffredi Rocco e Rocco dichiara che arrivare dove vogliono “tutte” è stata dura… Mah, può darsi che la prima puttana fosse meno tenera di Selvaggia Lucarelli…
The Family, Luc Besson da Festival di Venezia? Le aspettative, a giudicare dal filmato, ci stanno. Peccato che aprirà il solito Clooney col suo “figo” e martoriante 2001.
Già, c’ha distrutto Solaris…, non c’è due senza tre e il terzo sarà il remake di tutta la “sega” di Star Trek con lui nella parte dello spocchioso personal trainer di Spock.
American Hustle, il migliore dell’orgetta. Scusate, volevo dire della deniriana offerta.
Al che, afflitto dal mio Dio che m’ha abbandonato… mi pitto il neo, recito una mia poesia che fa…
Settebellezze Pasqualino va a Natale in tutte le lucine, Lucignolo lecca il mandorlato Balocchi, ti caverò un occhio, e abbasso chi picchia i finocchi.
Poi, mi chiedo che differenza c’è fra me e Robert De Niro. Nessuna.
Soltanto che Lui ha incontrato Martin Scorsese.
Diciamocela: la vita è una questione di nei. Se hai quello di Bob, a parte una filmografia con molte e recenti macchioline, sei un untouchable, se sei me, ti dicono che il tuo curriculum vitae presenta la pecora nera del suo neo e del suonato.
Ho detto tutto.
Firmato il Genius
(Stefano Falotico)
Società uguale fascismo degli imbecilli!
Esistono vari modi d’interpretare la realtà- Il metodo migliore è (non) guardarla per quello che è, infatti tu ce l’hai piccolo e io “la vedo” in grande, forse uso il binocolo “allungandolo”
Ci sono varie percezioni della realtà in assoluto. Anche un autistico ama, forse con più intensità, concepiamo gli alieni in modo antropomorfo, adattandoli alla nostra visione “umana”, per nulla umanistica. E se invece fossero senza testa e arbusti pensanti? Se le piante rampicanti la piantassero di aggrovigliarsi, forse intreccerebbero la casalinga con la piantina sul terrazzo in modo “innaffiante?”. Se anche nello spazio, in qualche Pianeta lontano, esistessero farabutti che seminano il panico fra grattacieli kamikaze? E se lo sfigato fosse un genio ed Einstein avesse invero rubato le formule della relatività al compagno di banco del “Liceo”, ove lo bocciarono in matematica, appropriandosene i meriti una volta che l’amico morì suicida in seguito ad aver partorito solo un figlio lobotomizzato? Questa è la vita, chi ha soldi per scommettere, li perderà se scommette troppo. Così va, è un casino. Da cui Casinò di Scorsese. Ieri arrivi dal nulla, poi “vieni” in Sharon Stone, domani ti fa il culo Joe Pesci, che si beccherà solo mazzate. Da cui i morti ammazzai e “Sharon Stone t’ammazzava di seghe senza botte”. Fidatevi. Come diceva Totò: “Andiam tutti lassù un Giorno. Oggi tocca a te, domani a lui, domani all’altro”. E io, essendo totoiano, sono immortale.
Chi più “spamma”, più non impalma ma, sotto le palme, va il “Panda”, vecchio proverbio cinese che significa questo:
Se di Facebook abusi, aspettati la “condivisione” dei pugni in faccia. Aprirai la chat e spunterà, nella calma piatta, un gorilla della protezione animali per garantirti asilo presso il WWF, acronimo a sua volta di “Viva il Wolf”, licantropo dalle unghie graffianti, tanto ungulato che non ululerai mica tanto.
E, durante la Luna piena, ne prenderai tante. Causa il tuo carattere megalomane che senza criterio offese ma scatenò il vulcano dai crateri.
Per stasera, la play finisce qui.
Perché sì.
Ogni altra visione, mi precludo perché voglio chiudere gli occhi. Abbiamo superato lungamente la Mezzanotte. Spero solo che, avvenisse un incubo notturno, non sogni una puttana che me lo mozzerà durante la polluzione.
Poi, mi sveglio di “sobbalzo”, colgo le palle all’occasione balzante e quindi balzano aggredisco con violenza pervicace gli idioti.
Responsabili, però giudicati “incolpevoli”, di fraudolenti imbrogli, del sotterfugio più mentecatto, dell’esser così “gioviali” da voler ammazzare, sadicamente ridendoci sopra d’altri scherzi, chi non vuole, non vuole e non vorrà mai vivere come loro!
Li attacco “a man bassa” e non me ne pento. Anzi, strappo le gambe del tavolo della cucina e le userò a mo’ di paletto invertito!. Sì, le gambe delle donne italiane son bianche ma abbronzate d’Estate quando le “dischiudono” al Sol cocente.
Tramite creme appunto solari, sollazzano i cazzi impiegatizi e si alzano dalle repressioni annuali in tal bollente ozio. Aprendosi… alla calda detergenza del buco dell’ozono.
Quei raggi, limpidi, sottili, “penetrano” e le femmine in calore ne “rabbrividiscono” d’ingropparseli, mescolando il costumino fra bagnetti al largo con acqua gelata, leccante lo steccone della gelatina. Eh sì, allargano e io mi ripeto di calembour, “menefregandome” a tutto spiano di queste m(ed)use. Appioppo loro il mio polipo.
Chi va piano, vive in pianura per scongiurar le mie freddure ma io oso di più e lo freddo quando s’accalora in villetta delle sue emozioni stagne. Meglio la mia carta stagnola che tappa la bocca rispetto ai falsi, contro chi non rispettò e si tuffa in piscina.
Meglio le mie braccia di questo “vivo” braccio della loro morte.
Tanto non cambierete. Ieri sera, ho urlato come un dannato. Un mio “schizzo” d’annata, anche se si sta perpetuando a scadenza settimanale.
Il Venerdì, infatti, prima del weekend di voi balordi con gli aperitivi in ubriachezza da storditi, capita sempre che disturbi la quiete del palazzo. Tanto, i miei condomini sono pazzi.
Dopo aver cenato, mi reco in bagno, mi guardo allo specchio, lo specchio mi “terrorizza” di troppi complimenti, dunque mi scaldo appunto in eccessiva autostima e ridesto il mio “topo” in “cantina”.
Sebbene abiti in appartamento, mi ritengo uno che vuol farsi la topaia sua, senza zoccole d’ordinanza. Adoro smaltarmi la barbetta con un po’ di cotone idrofilo e sciogliere i suoi peletti nel fioc(o).
Perciò, dopo l’ovattarmi, molto sbraito, spacco di rompere i timpani dei vicini. Gente da spaventare nel silenzio “spaparanzato” post fine settimana lavorativa.
Chiamo io stesso il 113, risponde la polizia e dico loro che possono spazzarmi il culo. Pensano sia una barzelletta e spostan la chiamata ai carabinieri.
A tali forze dell’ordine, ordino con impellenza di spellarmi, “recapitando” tramite cavo il mio indirizzo “incivile”.
Stranamente, giungono puntuali, dopo una decina di minuti. Quando, che ne so, avvengono liti coniugali in cui ci scappa il morto, arrivano sulla “scena” dopo il “delitto” autodistruttivo del suicidio, successo dopo l’omicidio. Spesso, trascorrono dalle ore dal complesso di colpa che ha indotto al gesto finale della tragedia completata.
Sì, avviene così. La moglie, “eminente” portavoce dell’insegnamento alla Bocconi, docente “intoccabile”, riferisce al marito che da trent’anni lo tradisce con tutti gli “elementi apprendisti”, prendendoli d’accoglienza “istruttiva” con tanto di “ripetizioni” e amplessi in cattedra per “ampliare” le prospettive del “guardarla” dentro un’altra dimensione. Di tutte le dimensioni è “fisica quantistica”, secondo la legge dell’entropia: “se lo bocci, crescerà nelle bocce”.
Il marito, fra l’altro pedissequo “abitudinario” di quelle sui viali, non resiste all’affronto e la “infila”, moltiplicandole i “buchi”, leggasi coltellate d’espansione cul… turalmente “aprendola”.
Torniamo a noi, non sono panni sporchi di nostra fica, ah che feccia. Davvero delle persone “in gambissima”… Degli intellettuali ficcanti! Finissimi, al taglio!
Apro a due carabinieri, entrambi di Napoli. Sì, mi raccontano la loro storia. Non trovando lavoro sotto il Vesuvio come pizzaioli, “esportarono” la loro verace indole “impastante” qui a Bologna. Dalle salse a infornare in carcere i responsabili degli spargimenti di sangue.
Da partenopei puri, son patiti della pizza tant’è che, quando ci son dei diverbi domestici, intervengono loro “addomesticanti”, “masticando” il ribelle di turno con pizze alla sua amante capricciosa.
Il più “bullo”, con manganello vicino alla pistola, con far sicuro d’una protuberanza sospetta fra i pantaloni “a righe”, m’assicura che posso rigar “dritto” e non devo temere nulla.
Anzi, m’incita a farla “sporca”, purché “legale”. Sì, mi consiglia questo: “Se la tua ragazza ti sta sulle palle e la troverai legata al letto con un altro, denunciala ma prima assicurati di avere il cellulare per scattar loro… una foto con tanto d’uccello-corpo del reato.
Sai Stefano, voglio divorziare da vent’anni, non vedo l’ora di beccare, con le mani nella sacca… scrotale, quella puttana che ho sposato. La sto scrutando da an(n)i, sono provatissimo e che danno sapere che così la dà, ma non ho prove per farla cadere in fallo… Magari,, magari facesse… una mossa sbagliata. La pratica di divorzio ha bisogno di dati tangibili… per poter appurare le impurità che han scatenato l’incazzatura. Ah, mai dovesse (ac)cadere, quella del piano di sotto posso scoparmi senza nascondere l’evidenza. Per adesso, non ho il permesso perché sono un tutore…”.
Mi fa firmare il proforma, gli preparo un profumato caffè, vi “svuota” dentro dieci zollette di zucchero. Quindi, si rivolge al suo collega e gli dice: “Be’, possiamo andare. Fra l’altro, il turno è finito. Rechiamoci alla pasticceria aperta… di Notte. Ingozziamoci di bomboloni e poi facciamo un giro per via Stalingrado. Troveremo qualche coppietta che si droga nei parcheggi. Ricatteremo tutti i ragazzi, minacciandoli d’arresto se non ci faranno trombare ogni zoccolina loro”.
Il collega, entusiasta, urla: “Allora che stiamo aspettando, cazzo?! Altrimenti, si fa tardi e, se rincasiamo al mattino, i nostri figli capiranno che siamo dei cattivi tenenti e non capitani”.
Morale della favola: questa società di moralisti ipocriti, da me solo che segnalazioni da non militante fra questi “giusti” militareschi.
Meglio il giullaresco.
Firmato il Genius
(Stefano Falotico)
La maschera(ta) della Morte Rossa di Edgar Allan Poe
Prefazione: esegesi dell’Arte, esigenza! So che spesso, in Passato non poche volte accadde (quindi caddi…), fraintendeste il mio umorismo nero. Mi pare il caso, anzi il racconto che calza a “trucco”.
Dietro un resoconto di vita, qualcuno deve fare i conti!
Anche col proprio raccontarsela
Sin da infante, son sempre stato un grande ammiratore del supremo, imbattibile Edgar, vero genio d’acutezza mentale forse scaturita dalla sua vita tribolata.
Per esperienze personali, posso infatti attestare e comprovar alla mano che non v’è Arte senza sofferenze interiori.
Innanzitutto, definiamo “Arte”, concetto assai suscettibile di molteplici significa(n)ti ma, proprio in tali variazioni di metrica e giudizio, dal de gustibusdiscutibile, nasce il primo inghippo.
C’è chi considera “Arte” qualsiasi forma espressiva della personalità (non) mostrata. E quindi inglobano in tale “ginepraio” (sì, lo è ché il concetto tanto amplificato… si morde la coda da solo d’orticaria…) oramai tutto.
E, generalizzando, accorpando anche le più furbe, ricattatorie e a prima vista avvenenti “carezzine” al piacere, spesso omologato, s’include (dunque s’espande a iosa e “rose di spine” ritorsive) anche il brutto.
E il brutto, sempre secondo il discutandum est, a taluni appar(v)e-irà bellissimo. Addirittura, dinanzi a quattro schizzi di “sperma” su una tela, eiaculati per escogitar lo stratagemma “ludico” del far soldi, leggasi volgarmente e, per pari “teorema” (in)direttamente proporzionale, gettar fumo (piccante) agli occhi, spennando le coscienze di quattro creduloni pronti, dirimpetto a questi “stopposi petti pornografici” così “pendenti” dalle loro labbra, a farsi (in)coscientemente spellare semmai da chi li ha persuasi che arte sia, “ivi” spacc(i)ata a lettere cubitali in prima pagina del pennivendolo, a sua volta finto e suggestionante, dall’“alto” molto labile dell’esser già stato reputato “grande” e “credibile”… (eh sì, ha quattro lauree… se n’intenderà, se lo dice lui, bisogna credergli, può “certificarlo” appunto di “consolidata”, solidissima… reputazione eh, non si sputtanerebbe nel celebrar puttanate).
Finiamo, travolti dalla miriade d’informazioni (multi)mediatiche del bombardamento appiattente degli spiriti critici, con l’annebbiarci.
Prima, venivamo accecati da Michelangelo e la Letteratura di Dostoevskij c’ipnotizzava col suo carico, anche giustamente doloroso, d’addiction e tormenti, noi stessi ai limiti del misticismo e del rapimento estasiato.
Oggi, in questo Mondo alla cianfrusaglia, imbevuto di troppe “latrine”, anche il piscio a mo’ di graffito non è urina ma “adorabile”. Un Mondo appisolato di pis(ch)elli.
Insomma, non allunghiamo il brodo, la brodaglia puzza, non ho “quella” sotto il naso, ma vorrei annusare una bellissima Donna, senza che se la tiri da diva di Hollywood… oltre a nessun film in curriculum, ha solo un grande culo.
(S)oggettivamente è figa(ta). Per il resto, fa cagare.
Identico discorso “allusivo”, possiamo spostarlo in un versante più “elevato”. Le virgolette, che uso spesso, son qui ancor più necessarie per accentuar il sen(s)o d’ambiguità in cui raccapezzarsi è oramai impresa impossibile. Fra tale valle di capricci, arricciatevi e le acconciature eleganti vi sembreran sconce. Ah, scontato. Questo è già visto. Ma cosa è visto se reinventato?
Se vai al cinema e stronchi il film che va per la maggiore (semmai sei “obiettivo), ti dan del cretino perché oggi “spinge” il “cinema” con la maggiorata, a prescindere che compaia “allodola” solo nel trailer già “da lodare e Dio ti benedica…, oh, si chiamerà Benedetta, quindi ben detto” idolatrante giacché, per “vederla” priva di “giacchetta”, sudi freddo ma poi resti di ghiaccio quando “scopri” che all’oca han tagliato la parte “migliore”. Non è l’occhio, ma dove vorresti “pararli”. La “ravvedrai” completamente lussuriosa solo negli extra del Dvd deluxe formato “Max”, un po’ calendario e un po’ Patrizia D’Addario. Sì, dai al pubblico il “pube”, e crescerà “al cubo”- molto cubista da dadaismo…
Insomma, se hai talento, impegnati tanto lei la dà e di soldi pretende pure l’aborto dopo che il produttore corrotto l’ha “impregnata”, censurando la recitazione “orale” di “Sono cazzi suoi”. Sempre impegnato, non disturbatelo!
Ah sì, ironizziamo. Ché mi trovo in libreria davanti a una pila-“davanzale” di “bestseller” con in copertina peli pubici “pudicissimi”, “inneggianti” all’“altezza” scatologica delle più luride schifezze smerciate come “purissima” lindezza. Indecentemente, invece, la libreria più “fornita” di Bologna non ha più copie dei racconti… di Poe. Vado dal commesso e gli chiedo, anzi esigo, di parlare col direttore, al fine di poter esporgli uno scandalo “annunciato”.
Vendono solo i corpi “spogli”, nudi alla “Helmut Newton”… uguali, tendenti alla fotocopia delle cosiddette bellezze. Al bagno o ai bagnini?
Che cos’è quest’inversione balorda delle e(ste)tiche? E delle na(u)tiche?
Si rema a rotta contraria, nessuno vuol contrastare il prossimo. E si dichiarano però democratici con vezzi artistoidi da spacciatori.
Il commesso dichiara, a viva voce-urlatore, che va così e così bisogna (s)vendere. Minaccia di chiamare le forze dell’ordine e blocca anche la mia “ordinazione” del Poe.
Dopo tre secondi netti, entrano in libreria dei fascisti teppisti fasciati di “nervi”. Insomma, dei nerboruti manigoldi col manganello senza distintivo qualificante ma “quantitativo” per l’istinto lor brado del da pollo marchiarmi in quanto voglio ancora comprare Poe nel 2013, dunque sono solo che un puerile e non posso perfino spillar di tasca mia.
Però, mi riempiono le palle di “palate”. Eh già, ne fan a “patate”, a polpette sul chi crede all’Arte fra questa “sensibile” contemporaneità!
Mah.
Di mio, nonostante vari lividi all’attivo, visibili e non “passibili di denuncia”, poiché acquirente sorpassato, non voglio acclararmi nei cori ma insisto, “masochista”, a raschiarmi di vera Arte depurativa come il Vim Clorex.
Ho recitato “La mascherata della Morte Rossa”, alcuni testi poco puristi riportano solo “Maschera”, ma qual è davvero il titolo originale? Quello “valido?”
Altri “vetusti”, “vegliardamente” han adattato ne “La pantomima della Morte Rossa”. Insomma, è tutta una “festa”.
Ma c’è da perder la testa fra queste maschere carnevalesche, fra i mascara delle donne fra maschi animaleschi, fratricidi, omicidi e appunto il porno attore che fa… “artista” ma a me sembra solo “apri-aragoste” di “carisma” spermicida. Ad Agosto, tutti al mare, ma ti girano per gli altri mesi lavorativi, un girarrosto di girasole. Sì, appassiti autunnalmente e dipendenti per il festivo, concesso loro dal padrone coi festini eterni.
Alcuni si rivolgono al Padreterno. Altri alle tenerezze, altri alla monnezza.
Insomma, ecco il testo integrale, da leggere e imparare a memoria.
Dopo di che, recitatelo con la mia voce, e capirete che sono Arte col suo perché:
La mascherata della Morte Rossa
Da lungo tempo la Morte Rossa devastava il paese. Nessuna pestilenza era mai stata così fatale, così spaventosa. Il sangue era la sua manifestazione e il suo sigillo: il rosso e l’orrore del sangue. Provocava dolori acuti, improvvise vertigini, poi un abbondante sanguinare dai pori, e infine la dissoluzione. Le macchie scarlatte sul corpo e soprattutto sul volto delle vittime erano il marchio della pestilenza che le escludeva da ogni aiuto e simpatia dei loro simili. L’intero processo della malattia: l’attacco, l’avanzamento e la conclusione duravano non più di mezz’ora.
Ma il principe Prospero era felice, coraggioso e sagace. E, quando le sue terre furono per metà spopolate, egli convocò un migliaio di amici sani e spensierati, scelti fra i cavalieri e le dame della sua corte, e si ritirò con loro in totale isolamento in una delle sue roccaforti. Era una costruzione immensa, magnifica, una creazione che corrispondeva al gusto eccentrico e alla grandiosità del principe. Un muro forte ed altissimo la circondava. Nel muro le porte erano di ferro. Una volta entrati, i cortigiani presero incudini e martelli massicci e saldarono le serrature. Impedivano così ogni possibilità di entrata ? di uscita, per improvvisi impulsi di disperazione ? di frenesia, che potevano nascere, in chi era dentro le mura. La fortezza era ampiamente fornita di viveri. Con tutte queste precauzioni i cortigiani potevano permettersi di sfidare il contagio. Il mondo esterno provvedesse a se stesso. Era tutto sommato follia addolorarsi o pensarci troppo su. Il principe aveva pensato a tutti i divertimenti possibili. C’erano buffoni, improvvisatori, c’erano ballerini, musicanti, c’era la Bellezza e c’era il vino. Tutto chiuso là dentro. Fuori c’era la Morte Rossa.
Fu verso la fine del quinto o sesto mese di questo isolamento, mentre la pestilenza tutt’intorno infuriava al massimo, che il principe Prospero pensò di divertire i suoi mille amici con un ballo mascherato di un insolito splendore.
Fu una messa in scena voluttuosa, questa mascherata. Innanzitutto però, vorrei descrivere le stanze in cui si svolse. Sette stanze formavano un unico maestoso appartamento. In molti palazzi, simili fughe di stanze aprono a una veduta lunga e diritta; con le porte a due battenti che si aprono verso le pareti permettendo di vedere tutto in un solo colpo d’occhio. In questo caso invece la situazione era differente, come d’altronde ci si poteva aspettare dall’amore del principe per il bizzarro. Le camere erano disposte così irregolarmente da poter essere viste soltanto una alla volta. C’era, ogni venti ? trenta metri, un’improvvisa svolta che apriva di conseguenza prospettive sempre diverse. A destra e a sinistra, nel mezzo delle pareti, un’alta e strettissima finestra gotica dava su un corridoio chiuso, che seguiva le tortuosità dell’appartamento. Queste finestre, di vetro lavorato, variavano di colore secondo la tinta dominante delle decorazioni di ogni singola stanza. Quella situata all’estremità orientale aveva nella decorazione una forte dominante blu, e blu erano le finestre. Negli ornamenti e nelle tappezzerie della seconda stanza predominava il purpureo e purpuree erano le vetrate. Tutta verde la terza, altrettanto le finestre. La quarta era arredata in arancione e così anche illuminata dello stesso colore, la quinta di bianco e la sesta di violetto. La settima stanza invece era tutta avvolta in arazzi di velluto nero, che pendevano dal soffitto e dalle pareti, ricadendo su tappeti della stessa stoffa e colore. Era soltanto in questa stanza che il colore delle finestre non corrispondeva a quello delle decorazioni. Le vetrate erano di un colore scarlatto, di un cupo color sangue. Ebbene, nessuna delle sette stanze con le loro decorazioni, pur ricca di ornamenti d’oro, era illuminata da lampade o da candelabri. Non v’era luce di alcun genere proveniente da candele ? lampadari in questo succedersi di sale. Ma nei corridoi che accompagnavano le stanze erano appoggiati pesanti tripodi che sostenevano bracieri accesi, che, proiettando la loro luce raggiante attraverso il vetro colorato, illuminavano così in modo abbagliante le sale. Questo produceva un’infinità di immagini fantastiche. Ma nella stanza nera, quella a occidente, l’effetto della luce e del fuoco che si diffondeva sui drappi neri attraverso le rosse vetrate era talmente spettrale e produceva un tale effetto irreale sulle fisionomie di chi entrava, che nessuno aveva il coraggio di mettervi piede.
In questa sala si trovava pure, appoggiato contro la parete, un gigantesco orologio d’ebano. Il suo pendolo emetteva un suono cupo e monotono e quando la lancetta dei minuti compiva il giro del quadrante e batteva l’ora, veniva fuori dai suoi polmoni di bronzo un suono chiaro, forte e profondo, straordinariamente musicale ma di una tale forza, che a ogni ora i musicisti dell’orchestra erano costretti a fermare l’esecuzione dei loro pezzi, per ascoltare quel suono; e così anche le coppie interrompevano le danze e su tutta l’allegra compagnia cadeva un velo di tristezza; e mentre l’orologio scandiva ancora i suoi rintocchi si notava che i più spensierati impallidivano e i più vecchi e sereni si passavano una mano sulla fronte in un gesto di confusa visione o di meditazione. Ma non appena questi rintocchi tacevano, tutti erano subito presi da un sottile riso; i musicanti si guardavano fra di loro e sorridevano quasi imbarazzati del proprio nervosismo, e si promettevano che il prossimo scoccare della pendola non li avrebbe più messi tanto a disagio; ma poi, dopo sessanta minuti (che sono esattamente tremilaseicento secondi del Tempo che fugge), quando tornavano a risuonare i rintocchi dell’orologio, cresceva in loro lo stesso stato di smarrimento, di tremore e meditazione.
Nonostante tutto questo, la festa era allegra e incantevole. I gusti del principe erano davvero squisiti. Aveva, in particolare, occhio per i colori e per gli effetti. Disprezzava le facili decorazioni in voga. I suoi progetti erano avventurosi e bizzarri, e la loro ideazione era illuminata da incandescenze quasi barbare. Qualcuno avrebbe potuto giudicarlo pazzo. I suoi seguaci però intuivano che non lo era affatto. Bastava stargli vicino e ascoltarlo per assicurarsi del contrario.
Era stato in gran parte lui stesso a sovrintendere alle decorazioni delle sette stanze, in occasione di questa grande festa; ed era stato senz’altro il suo gusto personale a caratterizzare le maschere dell’intera compagnia. Credete, erano davvero grottesche! Di splendore e lucentezza, di intensità e fantasticheria, ce ne era tanto quanto poi se ne sarebbe visto nell’Ernani. Vi erano maschere arabesche, maschere totalmente in contrasto con i corpi che le portavano, fantasie assurde che soltanto un pazzo poteva aver inventato. Vi si trovavano in gran copia bellezza, lascivia e bizzarria, e insieme terrore, e nulla che potesse suscitare disgusto. E difatti, nelle sette stanze si muoveva una moltitudine di sogni. E questi sogni si intrecciavano, assumendo colore dalle stanze e dando la sensazione che la musica ossessionante dell’orchestra fosse soltanto l’eco dei loro passi. E poi, ancora l’orologio d’ebano, nella sala di velluto, che batte tutte le ore pietrificando per un attimo, i sogni. E cade il silenzio e l’immobilità e si sente soltanto l’orologio. Ma l’eco dei rintocchi si estingue lentamente: ancora una volta non sono durati che un istante, e un riso represso fluttua e l’insegue, mentre svaniscono. Torna la musica e i sogni riprendono vita; si incrociano e si uniscono ancora più ardentemente, illuminati dai raggi del fuoco dei tripodi, attraverso il vetro colorato. Ma verso la camera più occidentale nessuna maschera osa avventurarsi, ora che la notte avanza e dalle vetrate sanguigne viene una luce più rossiccia, e la cupezza dei drappeggi scuri spaventa più che mai. Chi posasse il piede sul tappeto nero sentirebbe il rintocco ovattato dell’orologio vicino ancora più solenne e, nello stesso tempo più vigoroso, di quanto possano sentirlo le orecchie di coloro che indugiano nei più remoti divertimenti delle altre sale.
Ma queste sale erano densamente affollate; in esse pulsava febbrile il cuore della vita. La baldoria andò avanti ancora più frenetica, finché risuonarono i primi rintocchi della mezzanotte. La musica cessò, come ho detto, i ballerini si interruppero e vi fu, come prima, una pausa generale, inquieta. Questa volta però i rintocchi erano dodici e accadde che il tempo a disposizione per lasciarsi andare a contemplazioni e pensieri fosse più lungo; e per questo forse, prima che l’ultima eco si dileguasse, più di uno della compagnia ebbe occasione di notare una figura mascherata che fino ad allora era sfuggita all’attenzione. E, quando la notizia della presenza di questo personaggio si diffuse fra i presenti, si levò un bisbiglio, un mormorio dapprima di disapprovazione e di sorpresa e alla fine di spavento, orrore e disgusto.
In una mascherata come quella appena descritta si può immaginare che non poteva essere un’apparizione normale a suscitare tutto questo trambusto. Alla fantasia e al capriccio delle maschere erano state fatte illimitate concessioni, ma la persona in questione aveva superato Erode e oltrepassato anche i limiti della stravaganza del principe. Anche nei cuori dei più sfrenati ci sono corde che non possono essere toccate senza dare forti emozioni. Persino per i più cinici, per i quali la vita e la morte sono oggetto di beffa, esistono cose su cui non si può scherzare. Era ovvio ormai che tutta la compagnia sentiva profondamente che nel costume e nel comportamento dell’individuo non vi erano né umorismo né dignità. La figura era alta e ossuta, ed era coperta dalla testa ai piedi dei vestimenti per i defunti. La maschera che portava sul viso era talmente simile all’aspetto di un cadavere irrigidito che anche l’occhio più accorto avrebbe avuto difficoltà a scoprire l’inganno. Eppure tutto questo avrebbe potuto essere sopportato, se non approvato, dai pazzi festaioli tutt’intorno. Ma l’individuo aveva avuto il coraggio di mascherarsi a guisa di Morte Rossa. Le sue vesti erano fradicie di sangue e anche la sua faccia dall’ampia fronte era cosparsa dell’orrore scarlatto.
Quando gli occhi del principe Prospero caddero per la prima volta su questa immagine lugubre (che solennemente, quasi a simulare il ruolo scelto, camminava maestosamente fra gli ospiti) sul suo viso sconvolto si disegnarono terrore e disgusto; subito dopo avvampò di rabbia.
«Chi osa?», domandò con voce rauca ai cortigiani più vicini, «chi osa insultarci con questa bestemmia? Prendetelo e smascheratelo, e che si sappia chi impiccheremo all’alba sui bastioni del nostro castello.»
Mentre pronunciava queste parole, il principe Prospero si trovava nella sala orientale, cioè nella sala blu e la sua voce risuonò alta e chiara per le sette sale, poiché il principe era fiero ed energico, e a un cenno della sua mano l’orchestra s’era taciuta.
Era nella stanza blu, che si trovava il principe, circondato da un gruppo di cortigiani impalliditi. Al suo parlare dapprima i cortigiani fecero l’atto di scagliarsi contro l’intruso, che in quel momento si trovava nei pressi e che ora si stava avvicinando maestosamente al principe, con passo lento e deciso. Ma per l’indicibile terrore che la folle messa in scena della maschera aveva suscitato nell’intera compagnia, nessuno osò afferrarlo, e così passò indisturbato vicino al principe. E mentre la folla si allontanava di scatto, come colta da un comune impulso, dal centro delle stanze e si appiattiva alle pareti, presa da una paura incontrollabile, costui continuò ad avanzare con quel suo passo solenne e misurato che lo aveva distinto fin dall’inizio, senza incontrare ostacoli da una sala all’altra. Attraversò la sala blu, la sala purpurea e da quella passò alla sala verde, dalla sala verde a quella arancione, e poi alla bianca, e da questa si spinse anche nella sala violetta, prima che fosse fatto un solo tentativo di arrestarlo. Fu in quel momento però, che il principe Prospero, furioso anche della propria momentanea vigliaccheria, si precipitò attraverso le sei stanze, senza che nessuno dei suoi lo seguisse, per il folle terrore che li paralizzava. Impugnava una daga e d’impeto si era avvicinato alla figura che si ritirava, ed era già a pochi passi quando questa, giunta all’estremità della stanza di velluto, si girò di scatto verso il suo inseguitore. Si sentì un grido straziante. La spada cadde scintillando sul tappeto nero, sul quale subito dopo si accasciò morto il principe Prospero. Con il coraggio della disperazione un gruppo di gaudenti si precipitò nella sala e afferrò il mascherato, la cui alta figura stava maestosamente immobile nell’ombra della pendola d’ebano; e fu allora che con un gemito d’orrore si accorsero che le vesti funerarie e la maschera di cadavere che avevano afferrato con tanta violenza, non contenevano alcuna forma tangibile.
E allora si seppe che la Morte Rossa era là, e tutti la riconobbero. Era arrivata come un ladro nella notte. Uno dopo l’altro caddero i festanti nelle sale ormai invase di sangue; morivano così, nella disperazione. E quando l’ultimo morì, anche l’orologio d’ebano tacque, e le fiamme dei tripodi si spensero. E il Buio, il Disfacimento e la Morte Rossa dominarono indisturbati su tutto.
Voi cosa avete capito da quest’emblematico racconto? Che siamo pirandelliani, ognuno dietro una maschera per l’opportunismo di circostanza?
Carlo d’Inghilterra è il Principe che “prosperò” traditore di Lady Diana per “fotterla” nel “tunnel” della buzzicona? Potrebbe essere un’interpretazione molto sui generis, una vaccata meglio della vaccona di Kate Middleton.
Sì, secondo me le principesse, anche se magre e slanciate, han un che di lardoso. E vanno (s)munte.
Ora, alza la mano uno studente senza denti:
– Professore, ce lo spieghi Lei?
– Ma io non ce l’ho piegato! Non devo spiegare proprio un cazzo. Devi impararla/a da solo. Ricorda: non troppo analizzare, se no diventi un analista da penali, e ti faccio l’anale.
– Come, prego?
– Niente, era una cazzata. Vuoi la spiegazione del racconto?
– Certo.
Il Principe Prospero pensa di poter pappare tutte le prosperose e invece niente cena della sua maschera di cera da morto.
I panegirici servono al panettiere per le “rosette”. La verità va dritta e abbrustolita. Come lo “sfilatino” rizzo, non arrotolato… in inutili (rag)giri(ni). Deve essere caldo e basta. Farina del suo sacco, senza scopiazzature e altri “cazzi” che tengano, leggi Viagra e Bignami.
Da me, il professore, otterrai solo il tuo gnomo se oserai “magnarmi” da falsità professorali. Non sono magnanimo, sono quel che sono. A volte non ci sei, perché dormi. I sonniferi rilassano, per un po’ non ci sarai, poi canterai con Claudio Baglioni la tarantella assieme a Vasco Rossi, al ritmo di sono vivo, sono qui, sono ancora qui, eh già. Secondo me, è già finita. Ti ve(n)do in zona Verdone quando canta la canzone “Binario”…
Rammenta, demente. Nella vita, non esistono equazioni binarie e spiegazioni logiche. Devi calcolare anche il digitale dopo l’analogico. Infatti, adesso dove li butterò i vecchi VHS che non “entrano” nel “lettore?”.
Io leggo ma gli altri no. Sembrano delle stampanti. Parlan per frasi fatte. Io non mi faccio, gli altri strafatti ti dicono di farti gli affari tuoi. Il loro affare però è ammosciato. Troppa droga e i ventenni han già le rughe. Se a quaranta diverran a novanta, a ottanta rinsaviranno o salirà ancora? Chissà. Lasciano il Tempo che trovano. Ma lo troveranno in mezzo alle troie. Il mestiere più antico. Sì.
Un Tempo, guidavano le Vespette. Amavan la donzelletta che “vien” dalla campagna, adesso mirano a carriere “facili” eppur “arrivate” in cima al “monte”.
C’è Monti, Vespa Bruno, Brunetta va con le brunette, la verruca di De Niro è sempre più vecchia.
Insomma: “La maschera della Morte Rossa” è la metafora della condizione (dis)umana, che tocca anche ai “potenti”. Si credon “untouchable”, ribaltando le regole da Al Capone, ma se li tocchi… nell’intimo… (vedi Berlusconi con le mignotte), s’incazzano e rigiran di porcate. Tutto un Travaglio, da che posizione la guardi, sei ingravidato da quando sei uscito uterino, forse anche Martin Lutero era invero papale. Sì, Martin non ha mai pappato, sol di sapone bolle.
Gli uomini coi soldi, prima o poi, si rivelan stronzi. Le stronzette, da me solo che cazzotti. Comunque, ce n’erano molte nell’orgia di Eyes Wide Shut.
Tom Cruise scelse la fulva in modo poco furbo, di lievito “infornante” sull’inculata che levita.
Si toglie la mask, diventa Jim Carrey di Bugiardo Bugiardo e tanto va il porco al largo che fa la fine del Prospero.
Una fine da vero dottore del Principato… di Monaco?
No, di me che glielo monco.
La Morte Rossa sono io.
Così scrisse, così è.
Amen, salutami la bionda morta dell’obitorio.
Anzi no, aspetta. Ma la bionda era la stessa della festa? E chi l’ha resa rossa? Come? Era sempre bionda? Son io che confondo?
Siamo in un doppio sogno?
Mah, secondo me l’ha ammazzata il parrucchiere.
E Nicole Kidman rimase una cagna anche con Kubrick. Il resto è una “montatura”. Rimarrà negli an(n)ali.
Fidati. La vita è Arte per Natura, il bisogno dell’artista è consolarla.
Certo, se non hai i soldi per neanche un piatto d’insalata e la testa di Stanley Kubrick, poi ci scappa la frittata.
E nessuna scopata. Ci sarà qualche scappatoia? Voglio solo la scappatoia. Al massimo, posso pretendere una scaloppina. Non voglio galoppare di fritte patatine.
Oh, non friggerti. Pensa al tuo uovo, mi sa che l’Uomo non sei tu. Mi sembri uno da Vov. Dammi retta, quale genio della lampada.
Non sei nessuno, io sono qualunque. Il problema non mi passa. Svolto mentre ti aspetta la sedia elettrica da Alessandro Volta(ggio).
Insomma, mi tengo Poe-ta, anche squattrinato, tu tieniti le tette guadagnate di molta marchetta.
Ciao, ci rivediamo, eh?!
Non è una spiegazione? Invece, lo è. E se non t’ho convinto, se vuoi avvincermi al tuo vanto, da me lo riceverai poco davanti.
In realtà, l’esegesi di questo grande racconto è questa, sintetizziamola però per questioni logi(sti)che: il “Principe” Prospero pensa di scacciare via i suoi demoni interiori e crede di trovar conforto in una “fortezza”, attorniato solo da persone che può “soggiogare”.
Ma la coscienza silenziosa serpeggia, striscia, entra senza che nessuno possa vederla, il Principe l’ha sempre saputo/a. Sperava che si fossero per sempre calmate le acque, ma le acque delle anime “rinnegate”, soprattutto la propria, tornano prima o poi a galla.
Tormentano di pari persecuzione. Per se stessi nello specchio delle bugie. Di tutti, purtroppo.
M(or)ale: se fai il gallo, anche i ricchi piangono.
Non fa rima. Non segue un filo logico?
Sì, ho sempre preferito gli incubi di Lynch a Shining.
Possiamo dirci la bestemmia? Va detta. E ci sta pure il Dio dopo il?
Il pranzo di Prospero. Perché non puoi (pro)sperare a lungo.
Applauso!
Firmato il Genius
(Stefano Falotico)
Who is Bobby Cannavale? Un attore da popò al babà! Al bacio, sì!
Chi è Bobby Cannavale?
Bobby Cannavale, attore carnevalesco, come voi, idioti carnascialeschi!
La mia (r)esistenza da “pueril” puledro alla sporcizia delle massaie, si misura da quanto odio Cannavale Bobby eppur abbaio mentre voi vi rabbuiate: evviva gli anni ’90!
Ma che pensi che sia Carnevale? No, sono Cannavale al bacio, al popò di babà!
Altri tempi, che voi non avete vissuto né di memorie rivivrete, ché mi vibravo fra cosce mie spaparanzata versione Eminflex del giusto e sacrosanto onanismo galoppante, inverecondo, sguaiato e altisonante nel trombar da solo, perso tra fantasie “criminose” di gambe accavallanti, discinte con garbo e “gambali” miei di sudato “coraggio. Tempi oramai arenati, dopo tanto e pedissequo, equino “allenamento”. Di bone len(z)e, ricordo le mie masturbazioni che tutte le coglievano, compresa l’impresentabile Antonella Boralevi.
Pomeriggi “casalingui” di liscio fai da te, una, due, tre e poi innumerevoli giravolte sul (di)vano.
Tempi d’aria salubre e “mansueta”, d’un puberale impudico mio “pugnale”. Ah, pugnette che mai gettavano la spugna nonostante il sudore tanto. A capovolto osso lombare, capriole nel sacrilego edolor all’anca sacral per anelar al buchino mentre i miei coetanei si bucavano.
Ah, meglio i miei pann(olin)i sporchi, davvero di film alla Porky’s. Da playboy allietato nel late night, ululante a luculliane donne dal grande culo.
Ma poi giunse l’età adulta e la prugna ti fan ammuffire. Per amarla, t’ammorban di ricette e devi implorarledi pietistico, devi pagar il pegno se vuoi “impregnarle” col pene. Pane al pane, vino mio poco papale. Ah, come le palpo. Devi guadagnarti le penne all’arrabbiata, condir di pomodoro d’Adamo le dame se vuoi papparle da damone.
Come tutti gli altri che son già stati liofilizzati nell’ovatta a idrofila pancia piena. Ingurgitano d’appetito mai sazio e preferiscono il dolce alle salate.
E non salì poi più. Ti rendon Padre Pio, ti castigan nella stigmata se osi sfregar di mani accalorate nel sangue più verace, pugliese e bestemmiante come a Bari(lla), con tanto di pasta al “pestaggio” se non ti piace Benedetta Parodi. Canta con Minà e sarai poco minatore in Lei in calore.
Sì, guida il trattore e recati in trattoria, ove troie a non finire potrai addolcire. Ti danno anche la panna e il latte da mescere nel cappuccino.
Il cameriere ha il cappello, caspita come la pennelli, sai già che lei, minuscola di l stavolta, ti strapperà le bretelle, poi da barbaro bretone, le sarai barbabietola. Eh sì, dopo la bettola, il tuo abete, mio ebete.
Lei te lo beve, poi andate a pregare nelle cappelle. Confessandovi, fessi, tu reciterai la sua Maria, che di fessure è tutto duro.
Altri tempi in cui il Cinema potevi gustare di rassegne. E assegnar vo(l)ti a chi volevi. Non il volgo modaiolo.
Un nuovo “grande attore” sta ottenendo ruoli a raf-fica, viene dal nulla più “terrone” d’esportazione americana della matrice italo-ascendente sul globalismo cinematografico da vero “cul(inari)o”
Si chiama Cannavale di cognome, ma la faccia non è da divo, perlopiù da panettiere “siculo” emigrato USA con la “Coppola” d’uno nato nel New Jersey e la sua faccia non m’è nuova di padrini e da panino con la mostarda nel performer di merda…
Per forza, Bobby è delle donne “perforatore”, e v’incula a sangue. Letteralmente tradotto così: “Se non gli dan la parte, piglia la tua partner e si becca la sua porzione”.
Egli scippa. Egli scopa. Egli ti fotte e scappa in un altro “ruolo”. Dentro un’altra “immedesimazione”. Occhi penetranti, bucan lo schermo, alle donne gioca di scherma. E spalma le creme!
Infatti, ora è chef per la trasposizione del Palahniuk peggiore che speriamo blocchino nelle forchette alle sue origini “roventi”. Quest’attore non s’allinea ai miei delicati gusti, eppur piace e sta mangiando pellicole su sua pellaccia in filmografia sempre più “allungata”.
Mah, non è dotato d’espressività, sembra Fabio Volo nel Fred Buscaglione più trimone, eppur sarà “dotato” di “qualcosa” che io non vedo. Non pensate “malvagi”, non a “quello” mi riferisco, bensì al suo colluttar con la mafietta. E poi va di cariche e trombette! Anche Frank Sinatra faceva così. La sua voice superò le giuste accuse al suo boss.
Già. Per arrivar lì, a recitare con Pacino di spalla e protagonista di Woody Allen, mai Cannavale leccò culi di “pene” (non fraintendetemi, parlo della “gavetta” che faticar devi “darti da fare”). “Alludo” che qualche spintarella avrà avuto della “ricevuta…” come Emilio Fede e i destrorsi alla Carfagna. Mara lo mirò e, ammirando Silvio, guardarono Omar quanto è bello.
Sì, Bobby è come un nostro “parlamentare” di Destra. Nessuno dichiara d’averlo votato, e allora come fa Bobby a star lassù nella Mecca? Non è, ripetiamolo, “fortuna” di dura “minchia” ma di svendersi al “miglior” offerente.
Bobby contattò la Warner Bros per un provino, ne uscì bocciato, dunque provato. Al che, tornò negli “studi”, legò il direttore e lo ricattò nel puntargli una pallottola da “uomo di palle”. Che non può essere ferito nell’onore.
Da allora, nessun più si permette di scartarlo. E Bobby “sale”… Ogni riferimento al nostro ex Presidente del Con(s)iglio è puramente vero tanto quanto Silvio le verginelle tocca di atti impuri e casuali.
Comunque, un certo fascino del “cazzo(ne)” c’è. “Ammettiamolo”. Cannavale ha il suo perché. Come no.
Tant’è che può vantare una relazione triennale con Sciorra Annabella, alla quale cantava di “mandolino” tutte le notti nel riesploso “Vesuvio” partenopeo, sciorinandole anal. Litigarono per colpa delle sue “pizze” con troppa salsa, leggi percosse da manesco “cuoco”.
Bobby si scaldà, e Annabella pianse in una lacrima sul viso.
Annabella è ancora però cotta del Cannavale, si strugge disperatamente per avergli strappato il coglione rimasto che è. Bobby non ha risentito della “botta”. Nient’affatto indebolito, sta rafforzandosi da “intoccabile”.
S’estende a macchia d’olio e compare, anche simil torta “Ca(m)meo” al bu(d)i(n)o, nel centrar di “cavolo” burinissimo, al burro sulla merenda dei film d’ogni cucina, è la ciliegina che m’induce al caffè senza zucchero.
Sì, il film mi sembra delizioso ma, appena “avvisto” Bobby, mi scende il latte alle ginocchia. E opto per l’amarezza.
Qualcuno ha un cannone per frantumarle tal testicoli di cannolo? Ah, cremoso si scioglie Bobby.
Recensione al righteous kill per Cannavale!
L’omicidio perpetrato alla f(r)eccia dev’esser virtuoso, scagliato d’ira repressa dietro abiti da poliziotto intonso. Altrimenti, è sol che assassinio dietro leguleia “etica” ancor più da stella di “latta”.
Non arzigogolato tra false maschere, sfacciato come un Pacino (spoilero) logorato, “ansiolitico” dell’angoscia sua geniale oggi qui invecchiata, recidiva anche agli impeti urlanti ma “schiamazzato” d’interpretazione sorda, anonima, trasparente ai limiti del brezzolato.
Un grigio lupo di mare nella giungla, scalcinato di zigomi, acido muriatico di teschio in capelli sfibrati, ischeletrito nel ventre dell’Al(ba) che fu, tramontato senilmente, ma non sereno affatto.
Affilatissimo di grilletto facile da “buco” in mezzo alla fronte, forse drogato dell’esser marcito nell’integerrimo codice che (ci) ha tradito.
Non c’è heat in questo freddo poliziesco che non è all’italiana, nonostante le insegne al neon di ristorantini“emigranti”, polar-avanguardismo patetico d’un Cinema tronfio di schiettezza cruda. Tanto da scarnirsi la cena delle sparatorie. A essiccar anche di poco spargimento di sangue.
Lurido underground del sottobosco “inguardabile”.
Amarognolo nel “retrogrado” essere anni settanta in abiti cattivi d’un montaggio schizzato, di testacoda e split screennella messa a fuoco di calibro sfiatate, di recitazioni “lombrosiane” nel Pacino meno se stesso e nel Bob bolso, smemorati dai due miti di Michael Mann.
Quindi vetta da studiare a memoria per ogni (de)generazione futura. Spacca le tempie nell’accecarci con due icone fuori sincrono laddove in Mann, pur comparendo in sole due scene, fra cui una “cenetta”, erano più tavola calda di specchi delle medaglie…
Jon Avnet è mestierante, arrabatta, la butta lì, cazzeggia in una sceneggiatura discreta firmata dal creatore di Inside Man.
Produce Avi Lerner, quindi già impacchetta la paccottiglia, infila Carla Gugino per un paio di tette “di sbieco” neanche inquadrate in modo davvero birbante, la vediamo semi-oscurata da un De Niro montante a sodomizzarla ma da nostro groppo in gola.
Una cavallina triste, una cantilena per concludere in quattro e “quattrocchi” lo scontro di un Cinema senza Sguardo. Ma non è liquame, c’è più melma in tanto degrado che nel Cinema che voi definite elitario, dunque automatica.-mente piacente.
Ma per piacere. Rispettate Bob e Al, ammirateli nel finale “a bersaglio”. Saranno un po’ andati ma la stronzata va ch’è ancora due pezzi da novanta.
Per il resto, rispetta sia la Legge e sia le tue chiacchiere e distintivo…
Come dice il detto, togliamoci il dente e leviamoci dalle palle il Cannavale, Carnevale e pure i caviali.
I sassolini son mie scarpe letterarie da Stephen.
Invero, dovete amare Cannavale, quello di Bombolo, grande viveur che sfotteva tutti gli innamorati falsi
Sì, grande coppia con Bombolo, ma Cannavale era caratterista che derideva le cretine. Suonavano da batteriste, Lui e Bombolo. Arrivavano le bombe! Alla Zucchero Fornaciari.
Dopo aver recitato in farse napoletane sulla disoccupazione, sulla crisi, sull’identità del figlio omosessuale tendente al tenente moscio, pigliava la macchina, si recava nei bar sotto il vulcano di San Gennaro.
E consolava le donnicciole, cantando loro questa strofa di Celentano:
Amica mia, quanto costa una bugia
un dolore che dividiamo in due tra noi
La gelosia, quando arriva non va più via
col silenzio tu mi rispondi che
col tuo pianto tu mi rispondi che
coi tuoi occhi tu mi rispondi che lo sai
La gelosia… più la scacci e più l’avrai
tu eri mia di chi sei più non lo sai
complicità ma che gran valore ha
sincerità che fortuna chi c’è l’ha
Poi, ordinava una marinara e si ficcava l’acciuga. Con tanto di cappero al peperoncino della Campania più verace.
Firmato il Genius
(Stefano Falotico)
La società odierna, quindi anche il “Cinema” che vi meritate, idioti!
Capitolo 1
Tatuaggi sull’addome carnoso del mio “lebbroso”, i miei libri son migliori dei tuoi aforismi, io vergo il Ver(b)o vitale dei vostri nervosi, spruzzo l’ingrediente del non gradirvi
Vedo gente stanca e la irrido perché posso permettermi il lusso di sbeffeggiarli quando, cortesi di “baciamani”, corteggian sol che fraudolenze a caudine sessualità già lorde in “candore” così schiaffato in faccia senza dignità.
Passeggio, arrotolando del tabacco mesto e, di fanfare, innaffio i “copricapi” testardi, programmaticamente stolti, nel venerarmi più piacente a mio sorriso “camuffato” dietro un’aria seria speculare a quest’idiozia “sincera” e tanto sfacciata da indurmi al vomito.
Acciuffo le mie ossa e me ne ingurgito, nell’odore secco di tanto vostro essiccare e annuir con far “cotanto”. Ah, sarà l’aurora boreale che, dall’Africa, in squittii maestosi delle sue cavalcate, soffia sin qui, in tal tetra città ove l’Estate è sempre immutabilmente grigia e noiosa.
Spettino i miei capelli e, arruffatissimo, arraffo a man bassa, nel loro palmo non solo di cartilagine ma di sradicate narici, ché ne inalo i veleni lor da inetti, iniettandomi carezze soffuse nell’umanità mia non gravitazionale a tali (os)curati.
Ah, miei pagliacci ipocondriaci, additatemi da matto e vi sarò mattanza, nel massaggio “taumaturgico” che vi sanerà d’ogni ferita poc’aromatica. Lo so, patite il reumatismo di troppe “flessioni ginniche” moderate da studi “classici” d’un Ginnasio che a me pare asino e da graffiar con forza e mai loffio “infermo”. Gioisco a deridere le ragazzine tristi, “giocherellone” delle loro unghiette, son spezzatino quando se le rompono, illuse di spaccarmi il cranio perché non son a codeste coccodè un figlio di puttana per scoparmele di sana pianta.
Eh sì, sono erboristico e m’impunto, meglio dei punti e crocette di vostro “lustrarvi” fra orecchini e un paio di “gioielli”. Bevo la litania delle mie ma(n)i malinconie, in quanto fresca euforia, miei festanti frivoletti.
Son oggi pargolo e domani a pascolarvi nel pianto così colmo di lagrime, poi domani paradossi trasformisti nel saltarvi addosso. Preferisco il tè al farlo dandoti del “Lei”.
Da me, allietata non sarai, io salirò e non mescerò salivare la mia lingua in tal porcile anale. Son il cane, son la cruna dell’ago, son crudo e voi “bagnate”.
Immergetevi in questa colica renale, frizzanti nei bollori, da me sol che bollicine al vostro schifoso “sapone”. Sì, insaporisco il mio viso nel deturparlo in quanto non laido come voi ladri “puliti”.
Mi travesto da clown, di contraltare e son anche poco tenue di soprano, un soprammobile accidioso, un menefreghista a tenore del non attenuarmi come i buonisti.
No, non addolcisco la mia voce fuori dal cor(te)o, affilo i coltelli e raschio la gola, fin a giugulari golose del mio eremita e non nelle “delizie del palato” come tali sposalizi invero oziosi.
Mie viziate, vi donerò l’orzata amara, son la malattia venerea a una vita che voi adorate in quanto volete, volenti o nolenti nonostante la dolenza e le lenze di lisca d’abboccate esche, durar nel galleggiare per la vostra galleria degli orrori.
Preferirò la galera a questi galli cedroni e una limonata gelata alla pesca del mio “frigorifero” a questo sbaciucchiarvi e brindanti stappati.
Sono l’irriverenza assoluta, il codice morale sviato per avvitarti ai tuoi obblighi “estetici”, ché dell’etica son afflizione e indemoniato a non “attivarmi” come voi passivi, già trapassati in quanto mai nati, delinquenti d’oratorie orali e di lingue sguaiate.
Capitolo 2
Quando Cronenberg sostenne che, dai cinecomics, non si può ricavar Arte, gli caverei gli occhi come Daredevil…, che sono io
Certo, se danno a Nolan la trasposizione commerciale dell’“Uomo nero con le ali”, il Cinema atterra mediocre di sopravvalutato, se danno a me la profondità delle sfaccettature a tema del mio “doppio”, ne salterà fuori un Superman fortificato dal mio Kick-Ass
Sono John Lennon, critico Bale Christian, la falsa cristianità e le vostre vite che non vivono la propria!
Christian Bale è il più grande del Mondo, dunque anche storiografico del Pianeta Krypton, in quanto superomista delle trasformazioni mutanti alla Wolverine oggi e domani Batman, l’X Man t’incula e cambia forma.
Gli manca Cronenberg, ma lo vedrei bene catapultato in un suo “carnaio”, che voi definite “chirurgico”, per la serie “La frase fatta dedicata al cineasta di vostra ignoranza superflua e alla bona, quant’è bona”, Chris a involarsi, avvoltolato nel sangue schizzante, purulento e poi veloce di pus nel più “lestofante” amplesso (s)garbato, da bad guy anche un po’ gaio nell’ambiguità sopraffina delle sue sopracciglia alla Beppe Bergomi, questo Chris pittato nei levigati zigomi anneriti dietro una maschera “pipistrellesca”, che deride il Joker con voce cavernosa ed è mobile più di Big Jim su fisico tutto d’un pezzo a (s)montare Catwoman e cazzoni vari mentre si sbarba col maggiordomo versione “rasoio” d’un servigio Barbie e stile integerrimo del doggie ad apparecchiare le sue gatte in calore con tanto di tacchi(no).
Stessa classe di Michael Caine. Bale è un cagnaccio!
Wayne distinto, di stile, come no. Uno spiritello porcello alla Michael Keaton. Un mani di forbice più “wonderland”, nel senso di Val Kilmer/John Holmes. Sì, per mantenersi in forma, non va in palestra, ma usa la “balestra” scoccante nel mangiarsi tutte le alici…
Le adesca a paraventi di ventosa. Loro pensano infatti, “in fallo” che, dietro il trucco indelebile e resistente, forse potrebbe spingere indistruttibile di marmo.
Che Batman sia un maniaco sessuale è cosciotto accertato, nevrotizza la pulsione castrata della corazza nel “Tutto fuoco e niente arrosto”, con armi a raggi “microonde” su moto dalle gomme pneumatiche. Le “bombastiche” lui mastica ed appiccica il “mastino” nel tirato a lucido…
Batman sterza, in quanto “sterile” e per di più anestetizzato da quel che di Notte, solitamente, dovrebbe alluparsi. Cioè, quando la Luna brilla lassù, uno con un corpo alla Bale dovrebbe sbatterle sopra e sotto di “brillantine”, ululando. Invece, cazzeggia per purificare Gotham. Pensasse a come arrossire le gote e godrà senza il suo Notre-Dame.
Sì, il Batman di Bale è un gobbo, legge pure male le battute.
Un vero falco nel buio, un aquilotto che “spicca”, spacca il culo ai cattivi ma le donne lo picchiano. Da cui The Dark Knight che non rises in quanto poco riso e il cazzo non abbonda nello stolto che rosica e aspetta l’alba in bianco.
Ma il Batman di Nolan è anomalo. Per questo dobbiamo “(e)levarlo” in “pompa”. Un “losco” figuro a cui non frega un cazzo delle fighe. Egli bisbiglia, imbroglia, spinge, annusa e ammicca d’occhi neri nello spu(n)tar di visiera impercettibile. Quindi, schizza… altrove, da paladino che tutti impala e poche “impallina”. Anzi, nessuna.
Chi si crede d’essere? Batman è misogino o misantropo alla Capitano Nemo? Batman è ancor più “sommergibile”, naviga sott’acqua e scova i topi che scopan tra le fogne, li affoga di tutte foghe e quindi ottiene il suo “sfogo” senza bisogno d’infuocar le topine.
Non è un personaggio della Disney, ma un folle che “scoreggia” in città nel silenzio assordante dell’omertà. Gordon lo scambia per il corvo Brandon Lee, come look siam quasi lì se si confonde nel suo nemico per antonomasia, Heath Ledger “defunto” prima della fine delle riprese, con tanto di mitomania del compianto per far più cassetta. No, poiché supereroe, dunque filantropico è pure amico dei fruttivendoli, in piazza egli appare vestito da Pinguino di Elio… con Tom Hardy/Bane urlatore su doppiator Filippo Timi/Mussolini al fin di smerciar più banane e cicorie.
Se andava al mare, più cocomeri avrebbe rifilato alle “melone”. Eh sì, nonostante “tutto”, Batman è un “duro” grossissimo.
Testa di cocco bello!
Ce la vogliamo dire? Chi paragona Nolan a Kubrick, da me solo calci nel culo e vada a lavorare anziché allestire teorie “gasate” del suo eye wide shut.
Ma non distraiamoci. Torniamo a Bale. Bale non racconta balle, non è un cazzaro alla Nic Cage, non balla come il John Travolta che fu ma di pelle è camaleontico alla De Niro dei tempi d’oro.
Tant’è che comparirà, “irriconoscibile”, di nuova “muta” impressionante proprio col Bob.
Bale è inespressivo, basa tutto sul “carisma” del fregare lo spettatore. Lo spettatore va al cinema, guarda il “suo” nuovo film e rimane ipnotizzato per due ore circa dal Chris nuovamente “diverso”. E, mentre il pubblico continua a ripeter fra sé e sé, “Incredibile, cazzo, non sembra lui”, il film è finito.
Così, Bale si fa bono con tutti i soldi che vi frega da sotto il nasino.
“Ma quant’è bravo Bale”.
Più che altro, voi bevetevi Bale e la vostra vita, a forza di guardare i cazzi degli altri, non vedrete né Michelle Pfeiffer né Anne Hathaway “dal vivo” ma, soprattutto, neanche il vostro “uccello”. Detto piffero violato, poco volante di manubrio incastrato.
Sì, la vita vola via, e tu stai a osannar Batman nell’alto dei cieli. Pensa al tuo uccello prima di ammirar il pipistrello.
Ho detto tutto.
Che c’entra Cronenberg? Anche i geni come Lui sparano cazzate. Sì, avete una visione distorta dell’eXistenZ.
Quando capirete che è tutto un giocattolo, tuo figlio avrà scopato tua moglie. E saranno cazzi. Prenderete coscienza che avete invertito il giudizio frettoloso sulle “tappe” mentre vostro figlio è sempre stato Tom Stall.
Non potevate capirlo subito perché, quando nacque, stavate scopando con una prostituta sui viali. Sì, vostra moglie partorì e voi avevate la testa “altrove”.
Cioè “a culo”.
Da me, società di ritardati, solo che pugni in faccia. Come vuole la massa. Va al cinema e, se non assiste a scazzottate, torna a casa “abbattuta”.
Ecco cosa s’è perso oggi. Il senso della misura… di mio, posso garantirle un “Batman” che impenna di ottime proporzioni, tant’è che fui contattato an(n)i fa da Burt Reynolds di Boogie Nights ma preferii Demi Moore di Striptease nella sua controfigura.
Un Tempo, sì, maschi e femmine si commuovevano per Ghost, quando è poi morto invece Patrick Swayze, dopo un agonizzante, incurabile Cancro, le donne sono diventate come Bridget Fonda di Jackie Brown… nello sfotterlo a mo’ di Louis Gara, gli uomini son rimasti delle iene.
Soprattutto quelli che si svendono da brave “personcine”. Detta come mangio, sono sciacalli. Han lucrato anche sul dolore.
E quello che ti fa rabbia è che sono adesso loro sulle prime pagine dei giornali. Non perché abbiamo i nuovi mostri, ma Fabrizio Corona con tanto di didascalia: “Ho rovinato la vita a mezza Italia, scarceratemi, devo interpretare il remake italiano di Scarface”.
Guardate, sono Robert Forster e lo libero io su cauzione.
Poi, anziché il Pacino tamarro de no’ altri, gli do la parte di F. Murray Abraham sempre di De Palma.
E lo lascio penzolare.
Pensateci. Se firmate la petizione, mancano solo una manciata di firme, avremo una merda in meno.
Se po’ fa’? Sì sì.
Ora, secondo voi dobbiamo regalare i nostri soldi a Christopher Nolan, a Bale e compagnia belloccia, quando abbiamo l’erede di Cronenberg. Peraltro, con qualcosa in più?
L’ironia che a David manca. La fumettistica alla Tarantino.
E chi sarebbe? Come chi sarebbe?
E chi può essere?
Il qui presente-rinomato-assente. Oggi, non lo vedi, domani ti entra.
Firmato il Genius
(Stefano Falotico)
- American Hustle (2013)
- Killing Season (2013)
Vero cult movie in quanto già inverosimile. - Wolverine – L’immortale (2013)