Quando mi guardo allo specchio, so di essere nel ve(t)ro della giusta riflessione. Quando rovescio la “medaglia” ai “valori”, so che i “giusti”, d’occhi vitrei, vollero sventrarmi…
E, al vetriolo, rido mortificato delle loro risa.
Lo so, la mia “antipatia” per certa gente è evidente. Anziché affievolirla, la rafforzo di tempie. E sarò sempre nell’arena dei combattenti, a differenza di chi prima offende, ritrae la mano del suo “pennellino” a dipingerti perdente, quindi accusa se vien minato nella casina.
Ah, dei loro casini e delle matrone del bordello… io me ne infischio, “soggiacendo” d’apparenza in un’entità anonima. Ché anodino è sol colui che troppo sente in tal umanità di demenza.
Armati “coraggiosi”, i villani son (ama)tori nelle ville e incitano alle rivolte. Quando loro, di rivincite, son “coscienti” quanto la “pienezza” dei cessi nelle “tavolozze”. Che razza e che oscenità! Le tavole han imbandito e discriminano sol che i lor “banditi”.
Mettendo al bando chi si schiera a difesa delle libere e librate giovinezze, per questi non v’è eccezione alla regola ma accentuano le “secrezioni” della disumanissima selezione.
Scegliendo “affini(tà)” per scibile costruito a tavolino, leggiucchiano e si spacciano da intellettuali quando, alla meno e pessimi, son i primi pedestri degli strafalcioni. La tua Laurea mi pulisce il deretano, mio professore che tanto le incarti. Ah, tutti incanti e la tua signora canta bianchissima! Lercia sin al midollo spinale, tu, medico che sproni le palle per una generazione di pallose diottrie. Ma quale forza di spinaci! Ecco la mia dottrina. Aspirerai di botte e placherai la tua finta brillantezza con aspirina al peperone. E il mio muscolo pomperà meglio. Infilato ove sei imbucato di bugie.
Eh sì, falcian ed estirpano l’erba… “cattiva”, coltivando l’orto che non voglion sia calpestato dagli orsi.
Orsacchiotte son le lor donnicciole, si (s)creman in futili amor proprio che del vero amore han perduto il sen(n)o. Ma gli altri, i grandi, siam asini a tali “disciplinati” che tanto vorrebbero noi piangessimo. Inchinati mai saremo canzonette di Sanremo ma non “salimmo” per colpa dei loro microfoni distorti nella distonica massa trasmessa “radioattiva”.
Rettili, oh miei serpenti, da domani in guerra. Attanagliaste, e noi sfoderiamo gli artigli, non badando se ora tu sarai tagliato a feto. Basta coi Cesaroni! Ecco il cesareo. Noi siam di risorse aurei. Basta con le aureole. Insurrezione. Risorgiamo. Insorgete. Educande della “buona” borghesia, basta propinarci la linguaccia se oriniamo fuori dal vaso dei vostri “fiori”… all’occhiolino maliziosetto. Alle tue smorfie, preferiamo un amorfo al morto che è solo moina. Sol(itudin)e!
Di sesso in scatola vi condite col prezzemolo, miei pezzenti. Noi non ci venderemo a tali (dis)prezzi. Pezzati, forse, ma non da Max Pezzali.
Siamo sì al “minimo” e quindi convulsioni nella vostra, certo, confusione. Ma quali cerotti! Noi vogliam ferirvi nella cer(nier)a, non abbocchiamo più, sbocciati non vi sfiorirete né forati siam da nazisti fori della solita forca, miei porci.
Affiorati siam qua, qual fastidio e irritazione vi dà? Un po’ di nostro germogliar e v’arricciate come foglie secche, ché agogna(s)te il nostro eterno Autunno? Noi siam tonni, noi ci torniamo nella donna tua desiderata e di sedere tonificato.
Con tanto di tua pancetta affumicata. Ce le fumiamo, siamo una fiumana. Menateci e, sommergibili, rispunteremo a galla da bo(i)a. Bestemmiare non devi, mio “amico” infedele. Ti sono diga e ti rubo la figa. Che frigni? Il fazzoletto non può contenere un incontinente.
Qui, s’erge l’Uomo eretto e di sapienza non più tuo schiavo, ah ah saccente. I puntini sulle i son mio “neo” da appuntarti la “stella”, caro oste. E alle ostriche preferisco tante “bamboline” come la matriosca.
Quante ochette tu bagni nel laghetto stagnante. Non rammaricarti se non ci lagniamo. Siam caldi anche senza la tua lan(d)a.
Firmato una testa di cazzo. Sì, mi mostro Uomo e non da mostri nascondo il frutto…
Che non parla di attori meno belli di me.
(Stefano Falotico)