Scampato a un incidente aereo Max Klein vede la su vita rinnovarsi e sconvolgersi del tutto. In lui nasce un distacco verso la famiglia e gran parte delle persone, ma anche una profonda sensazione di onnipotenza. Ed è proprio questa che lo spinge ad aiutare Carla, una giovane donna di origine messicane che nel tragico incidente ha perso il suo bambino di appena un anno.
Sono due modi diversi di affrontare la sciagura che si incontrano e cercano faticosamente una sorta di equilibrio, un tentativo di ritorno alla vita, (Max parla spesso di “scomparire,siamo già morti,siamo fantasmi”) ma, mentre l’uomo ha trovato una dimensione di esclusione e “strafottenza”, quasi noncuranza nei confronti della vita e della morte, (ad esempio mangia fragole, frutto per lui pericoloso in quanto allergico),la donna si abbandona totalmente a un straziante dolore e un feroce senso di colpa.
Max è circondato dai media, da un avvocato delle assicurazioni cinico e invadente, da un bambino che ha salvato e che non lo molla mai, da uno psichiatra abbastanza goffo che vuole psicanalizzarlo e sta vivendo una grossa crisi matrimoniale. La salvezza da una morte certa in realtà la legato fortissimamente alla stessa morte. Nel suo rapporto con Carla ritrova un vero motivo di esistenza, un reale scopo.
Peter Weir è un grande regista, sopratutto nel suo periodo iniziale in Australia ha diretto dei classici legati a un Cinema d’atmosfera inquietante come L‘ultima onda tanto per citarne uno, in America si è sempre comportato più che bene: Witness, lampante esempio.
Questa pellicola del 1993, per me è tra le sue migliori, un film complesso e intelligente sul lutto, la sopravvivenza a un grosso disastro, la perdita di un figlio, lo scontro e incomprensione tra chi è sopravissuto e gli altri, ma anche tra gli stessi che son usciti salvi dal funesto e terribile incidente, la casualità della vita, il senso di impotenza di fronte alla morte dei cari e quello di onnipotenza, il cinismo della società che sfrutta una vita per riempire giornali e tv o per prendere più soldi dall’assicurazione.
Tratto da un romanzo di Raffael Yglesias, che firma anche la sceneggiatura della trasposizione cinematografica, è un’opera di lucidissimo dolore, che evita quasi sempre facili scivoloni nel sentimentalismo o nel ricatto emotivo, un’attenta indagine psicologica non solo dei due protagonisti,ma anche del mondo che li circonda
Il tema della morte per me è fondamentale, amo i film che l’affrontano e sopratutto quello che come si vive o supera un lutto, che trasformazione porta nelle persone e nella cerchia famigliare o il rapporto con la società. E questo lavoro del regista australiano, grazie a una buona sceneggiatura, affronta questi temi con la giusta misura di melodramma e dramma, sa quando spinger un po’ di più e quando fermarsi.
E poi è Cinema, grande Cinema. La scena iniziale con Jeff Bridges che esce dal campo di granoturco ha una potenza visiva meravigliosa, esattamente come l’incidente aereo che ci viene mostrato nel finale. Pare di essere su quel maledetto aeroplano, (io ho paura di volare e questo film mi conferma tutto eh!), ci si commuove anche per quella gente che muore o quella che sopravvive, per le mani che si cercano e non si trovano,veramente un pugno nello stomaco.
Il rapporto tra Max e Carla, che non sfocia mai nella inutile sequenza di sesso o nella storiella sentimentale, ha un rigore morale raro nei film che in un modo o nell’altro sono comunque non relegati alla nicchia del Cinema d’autore, ( e io amo le nicchie eh!), così come la scena dell’incidente di macchina che Max si procura per eliminare il senso di colpa a Carla è un momento, ripeto, di grandissimo Cinema, per montaggio,suono,recitazione, tutto.
Fearless ha un grande cast che funziona alla meraviglia, dai due memorabili e indimenticabili, Jeff Bridges e Rosie Perez, fino a Isabella Rossellini, John Torturro, Benicio Del Toro, Tom Hulce.
Opera forse dimenticata e trascurata, ma validissima, da rivedere.
Portate i fazzolettini perché si piange e tanto eh!
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