Per Pasqua, fratelli della congrega, comprate il mio libro su William Friedkin, smettetela di frignare con le uova marce. Meglio il “marcio”, che sa marciare!
In questo matt(ut)ino primaverile, ecco a voi un saggio di “matta” voglia mattiniera eppur mai “diurna”. Un libro su due duri, inaffondabili. Inattaccabili! Non violateli!
Prefazione “falotica”… (se v’annoia, basta saltarla e passare al paragrafo, vi consiglio però di leggerla non alla leggera, io legifero, son ferreo, son figo)…
Pregiato Cuor dal livor horror
Chi crede che, ironizzando, io scherzi spiritoso, sia benedetto nell’acqua ad abluzione del suo “immarcescibile”-marcissimo Peccato, da me mai assol(u)to, ché disosserò il suo sacro osso e, “blasfemo”, ne stigmatizzerò le costole, marchiandolo di calvari spirituali e spiritici di mie sedie “purificanti” a scaraventarne le ceneri sue che impolverarono i “poveri”
Angherie e soprusi, si tace e si taccia, si falcia e si striscia di colletti bianchi a “collarini” della societù “cuoricina”. Ma il mio virtuosissimo finambolismo se ne frega e li sfregia con altezzose mie “zie” a zittirle per sempre. Ove, tombale, dissotterrai le spade del furore “sedato” e ottenebrerò la fosca cupidigia di tali usanze che ungono e “maledicono”.
In un baleno, io son Bianca Balena, fra balenotterele vostre e balletti in balera, “lisci” come l’olio a voler sbatter in galera chi è pirata di galeoni.
Gallo, alzo la cresta, e pesto te e le tue galline, strappando la criniera tua “leonina”, strapazzando le “uova” da orso contro le pelose tue micine. Che vuoi? Che “ovuli?”. Le ammicchi e appicchi il “fuoco” tuo. Fatuo non sei come me,Faust e fasto, ché di tuoi pasticcini sol pastrocchio conci per le “feste”, sgualcito fra notti in calore tu “accaldi” il coito dopo tante coliti da frustrato coi debiti accollati e le “gallette” a collo di “a tutta birra”… tanto se ne “bevono” e abbeveri gli asini per “accordarli” al tuo bovaro modo di “tenderlo” e “intenderla”. Che “tenero”. Ma il mio morso imbriglia, sciolta diarrea alle tue già logore logorree. Io sono il tuo “gore” e nessun fantasioso Verbinski ti salverà dal “naufragio” della mia prima Luna. Lupo t’adocchio anche “bendato” e t’acceco di “cannone” in mezzo ai tuoi “cannoli”. Che cremosità “grondante”. Pum pum, il tuo “babà” è goccia che sbava al “liquore”. Languorino… Bravo coi tuoi “bravi”… ragazzi, gangster che io scarabocchio, con tanto di “testate” cornute alle tue cornee di nuovo in tribunale, foro anale. La forca, mio porco.
Contro le trivialità di chi, per primo, sfoderò i coltelli da serpente. First Blood, ora la tua testa esplode e son io a scandagliarti, a scavarti da scanner cronenberghiano di chirurgia alle carni tue tenui come le lotte “intestine”…, fratricide da fradicio sudatissimo mai attenuato, a tenaglie suino subito supinissimo, non supplicare m’applicati per non placarmi a spaccar la tua “placca gengivale” dal salivar sale a non salvarti ma io a salutarti, “verme solitario” di morbo virale a te “morbido” d’intestino “grasso”, oh crassa arroganza che, di rughe, arroventò chi vuole (la vogliettina…, non le mogliettine mignotte…) sola-mente “arrovellarsi”. Ché veliero senza il velo dei tuoi “zuccheri” da trucchi nel (ri)“toccarle”. Son tocco, tonto alle tue rotonde puttane da mappamondo. E circumnavigo il globo per accerchiare le sferiche “palle” della mia “costellazione d’Orione, mio bel coglione.
Ribaltiamo il gioco e, soggiogato, ne sarai cavalcato.
Resistenza a “te”, “pubblico ufficiale?”.
No, tu sei un puberale da gabinetto e ufficetto.
Ecco il mio “cappuccino”. Tutto “incappucciato” quando, fuori dalla porta della tua casina, ti fracasseremo la testolina, “fragile” come il frassino, di legnate nel casino a frantumarti anche i testicoli.
Sei terrorizzato? Ah, prim’ammazzi e poi non vuoi stramazzare?
Eh… ehi, non funziona così, “bello”.
Non fare il “carino”. Ecco i canini.
Sai? Mordono!
E ti stracceranno quel che hai mezzo alle gambe.
Intimidazioni, stupri, fisici e psicologici, “paralitici” per chi ha impalato e, ora, da Vlad l’impalator’ sarà issato “in gloria” dei “cieli”, a brindare di “mondiali” a cornamusa d’uno stadio eretto “in santità” per tutta la plebe ad ammaestrarlo di leone iroso, ah, adirato graffia e gladiatorio sbrana, gli “aizzano” le “catene”, alzando le palizzate e paletti a incastrarne i denti dell’abbufarsene ché s’arricci mansueto e “coccolato” da una spranga su “spaghi” d’altro vessare nel “riversagli” sangue, ma stritola i nemici e li solleva, barcollano tremanti, arrabbiati adesso s’inchinano per una grazia non sua “accorata” e gemono delle piangenti grida d’ogni innocente del loro vigliacco cannibalismo. In grembo! Evviva Rambo!
E che prostituzioni al “lavoro” tanto per “dorarsi” d’imbellettata posa, “sposati” e con prole “a caricarla”, a esaltarla per gli “abbracci” per me solo brace e rude bronzo di Riace, muscolo che scolpisco e colpisce all’esanime “stile” del loro “attillato”… “aderire” e “indurirsi”. Oh, miei grezzi criceti, “fortificati” nell’astuzia furba e ingegnosa, son io l’aguzzino e aguzzerò la (s)vista vostra da mostri repellenti, spellati di svenimento e “turgido” struggervi in compassionevoli perdoni. Oh, per carità, si domanda “assunzione” al Regno del Principe alato, ma io aleggio d’aviatore Icaro e, “cari” armati carri, non trascino la carretta ma s-tiro micidiale ai vostri omicidi da “corte” alle micette.
Assassini!
Che miagolio “arruffato”, mi date del buffo ma son il capo d’ogni Puffo e vostro “plof”, sono io il Professore e, non docile, anche Biblioteca d’Alessandria del docente che addusse questo:
ogni “Duce” è da pollice giù, preferisco il mio alluce a chi addita e scortico, “corrivo”, le smaltate unghie delle vostre femmine (s)“venute”, poiché verrò apocalittico e schierato a elidervi con le “allusioni” a ogni vostra chiusura per le “clausure”. Io son “chiave” dell’Inferno alle anime tanto animate delle mimose, miei “innamorati”, sono il moro e non morirò. Ammorbatevi e non m’ammorbidirete. Non m’abbindolate ché non avvolgo l’involt(in)o del mio abito a non abituarmene e “abitare” nelle vostre cas(s)e da morti, io sono in panchina e domani anche sulla banchina, vi sbatto “ondosi” al banco degli impu(n)tati, moto “oneroso” del dovere che vi chiama alle “ur(i)ne”. Malato son forse “matto”, meglio di Matteo l’evangelista, son novella nel rinnovarmi a ogni mio nerbo innervato sullla neve scagliata focosamente ai vostri gel(i). Sono la brillantina, l’erezione cutanea, mi crogiolo in nave, e sparo nell’incunearmi ove “scaturisco” mentre, impauriti, scappat(oi)e e pisciate fuori dal vaso. Miei “fiori”, son quello all’occhiello, l’oste nei miei castelli, sogno e non assonnato me ne dolgo. Invocate e sarete imboccati dall’ostia!
Ecco che “ostriche”. Tu, oca, sei “pappina” del pappon’ Paperone! Egli cammina a papera da quaquaraqua. Eccolo “qui” il mio “annacquartelo”. Sgolante si danna per “darmele” ma non risarcirà di danaro, gli son avarizia di “liquirizie”. Egli cala le brache e anche la libido sua si “ammoscia”. Io, la mosca e moschettiere di scherma. Non scherzate, guerci, io sono una quercia e mai lercio b(r)uco, scheggio “abulico”, schernisco le apatie e ischeletrisco i vostri “vischi”, vizi e “mucchi”. Selvaggio, mi tempro all’ombra con un sombrero da sumero. I somari son stati amareggiati, il mare qui è limpido ed è “lampada” contro gli allampanati.
Tu, barone, bari al bar, ecco come mischio le carte “a tavolino”, di briscola son biscia e “scopa”… a terra se, al pavimento, non vuoi pulir la merda del tuo “cementare” il prefabbricato del putrido e impuro sporcare.
Amami e avrai un amante non “mio”. Non sarò colui che (ti) è, ma uno che fornicherà di tradimenti e “condimenti” con contorno di “patate”. Egli è un manzo di bistecca “al sangue”. E gli macello l’uccello, con accetta “glielo” accetto, poi d’aceto gli spruzzo come un “pazzo”. Che pranzo. Ah, adesso mi spaparanzo e segrego la mia congrega senza il vostro gregge grigio.
Sono l’anemico e nemesi per mia Eccellenza, per antonomasia son musone e antitesi a quelle di “Laurea”. Son eccelso, senza essere incensato. Incessante, ordino pulizia dei cessi.
Vivo da “recluso”, in quanto son io a occludere e le bocche ora chiudete-la.
Chiamami “Chiaro”, sono l’oscuro e perplesso verso gli oscurantismi.
Io, (ri)baldo e giovane, cavalco e accavallo le mie “cosciotte”.
Non uso il casco, non cascherò mai.
Lo so per certo. Poiché ero e non fui, ora, scusate, datemi una sigaretta. Potrei spegnertela o “accendertelo” del “cerino” che non dà mai fiamma al fiammifero per il seno della Madonna da mammifera.
Sono uno da Milf.
Invero, mi chiamo Mammut. In quanto “tutti” ammutino.
Elefante Man da fantino nelle women.
Vivo nel Quatenario dei miei “lucernari” per polle al mio “polare” scivolare sul “lago” di tette con la quinta. Infil(zo) l’ago nel “pagliaio”. Ahia, l’ha “sentito!”. Indolore, in culo! Che “odore!”.
E parto in sest(in)a. Una volta che “parte”, la “proboscide” non s’assesta, e te li assesterà nel popò.
Ora, che il popolo mi “innalzi”.
Merito lo “scioglimento”.
Che gran godimenti. Mio demente!
Ne vedremo delle belle. E delle tue “balle”.
Di fieno ti son fiele, sono fiero di me. Sei ai ferri corti.
Te l’abbiamo “accorciato”.
Presentazione su prefazione di Davide Viganò
Ribadisco e non ammetto ragioni. Quindi, non sragionate.
Davide è come me, ci conoscemmo grazie ad altre conoscenze. Noi, mai senescenti e di nostra “scienza”, in mezzo alla folla noi incitiamo i “folli” a essere come costoro: Friedkin e De Niro.
Basta coi buonismi, coi lecchini, noi siam orgogliosamente “becchini”.
E vi beccherete solo delle bocche cucite se continuerete ad abboccare da psichiatri col bocchino!
Davide è antiborghese, detesta la massa, e fa bene, è cosa buona e giusta.
A contatto coi cafoni che van per la maggioranza, sempre accompagnati da maggiorate mentalmente minorate, se n’angustia. Ed è qui che c’è il nostro gusto.
Noi gustiamo, noi “stiriamo”, noi ce la tiriamo. Non c’è nulla di male in questo. Perciò, evviva il “Male” di Friedkin, questo regista che osò in tempi ottusi ove l’ignoranza “faceva”… spavento.
Il suo Cinema sventola come le ventole a chi soffre il “caldo” dell’erotismo alla “bona”.
Egli “lurideggia” provocatorio, tocca e annusa, sfila il guanto e “inguaia” le vostre teste, v’è testacoda di non capirci un cazzo, nel carpire le capre. Carpe diem!
Egli sa, sale ed è “salina” contro chi, di dolcetti, è più Halloween d’una strega.
Fake, siamo noi che ti sfianchiamo. E tu, Donna, fuck me hard!
Come? Che cos(ci)a? Come ti sei interpellata, pelosa, a me?
Hai asserito, non “inserendomelo”, che sfigato sarei.
No, non è la verità. La verità è “questo” come Friedkin. T’incula quando pensi che andrà “calmo”.
Datti a un calvo!
Cavati dai suoi “cavilli”. Sì, mangia il caviale, tanto te la (s)caverai.
Questo Friedkin che s’insinua di Notte, che scende dal camino e v’indirizza al cammino.
Che poi vira in De Niro, quindi si trasforma nel McConaughey a prendervi per “polli”, miei pollarrosti e pollastrelle. Friedkin rastrella, ti rompe con gli ombrelli, ombroso t’è “lombrosiano” negli ani.
Egli “lupeggia”, infatti, non cazzeggia. S’incazza e abbaia. Non rabbuia ma vi fa la bua.
Egli brulica nella brughiera, è drago sputafuoco nel dar pepe a chi, dalla vita, vuole solo il caffè della Peppina. Sarà Peppone? No, non è Don Camillo, non beve camomille!
Lontano un miglio già trent’anni fa dalle migliaia di stronzate che producono oggi.
Egli sa!
Sono un Uomo senza timore! Monco, spingi al timone!
E muoviti, per Dio!
Firmato il Genius
(Stefano Falotico)
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