Silenzio alla Poe-ta
Fratelli della congrega, so che la società vi sta direzionando verso risate smargiasse da combriccole a me assai intollerabili.
Da anni, nonostante titubanze, arretramenti e mentalità retrograde che vollero incupirmi per sbranar il lupo in me sempre germogliante e or rifioccato, perseguo una linea inossidabile, il più altero disprezzo per chi disprezzò le mie scelte, corroborate di notti a immaginarmi pasciuto nelle vostre valli di lagrime, ove rassodavo i miei glutei in totale sfacciataggine che fischietterà sempre infischiandosi dei fiacchi, dei fianchi e dei vostri fiancheggiamenti.
Sono erede della tradizione lunare, e non intendo, sebben provarono a tentarmi, e dir che ne fui quasi quasi attenuato, a farmi retrocedere. Invece eccedo, insisto nella mia resistenza forse a non esistere ma che di tal moltitudine infelice non sa se soffiarsi il naso o sbugiardarli nel Pinocchio.
Io nudo, io che scalzo le mezze calzette e tutti obbediranno alla inviolabile legge del mio fragore, dei miei frastuoni.
Udite idioti la voce del Signore, e non inveite di sbeffeggiarla ché, da dietro la tua testa, potrebbe rasarti il cranio nel frantumarlo.
Signori, colui ch’è, un perché qui:
Adoratori miei, il trono è nostro.
Orsù, cavalchiamo. La Notte è lunga. E va addent(r)ata.
Recito da “favola” o no?