Un “ratto” che assapora le gatte con occhi lupeschi da ululato fra le ielle di chi è incagliato, di canini, nella “caramella”
Uso tante virgolette poiché svierò sempre senza sviolinate. Amo semmai l’armonica, strumento da fischiettare senz’anemia. Sì, duello coi nemici come Charles Bronson, “muto” che striscia con pelle di cuoio, apparentemente “senza palle” ma figlio di Apollo fra tutti i polli allo spiedo, cotti nel western ove desertifica ogni figa e si sfila l’abito da monaco “ammanicandolo” solo quando rimbocca le coperte a delle bocche di signore affamate di “fagioli” da Trinità.
Sì, mi torturano ma son io che poi li striglio, che facce da triglia, e attingo nel trito per “tirarmelo”. Buonnotte pisellini da sonnellino. Che pisolino!
So cosa piace alle donne. Il (pro)fumo maschio del Machete capellone di brezza calda come vento orientale di mossa aerobica alla Bruce Lee. Sì, poi di “spaccate” son muscle from Bruxelles. Spaccone d’occhi neri che cangian azzurri alla Paul Newman con indole da Bob De Niro “aggrottato” nel neo perspicace e spiccato di rughe in fronte a te, come il Sole dell’attore melodioso della vita spericolata alla McQueen. Pericoloso io? Pernicioso? No, vado a caccia della pernice, e incornicio ogni “quaglia” nella mia bacheca, dopo averla concupita di capelli al balsamo, balsamici nell’“imbalsamarlo” come il falco-uccell’ predatorio e “cupo” appunto nel boschetto delle lupe.
Ah, poi di luppolo m’abbevero, birra che spezza le sbarre e barrica invece chi mangia solo il buonismo delle barrette di cioccolato. Nel baretto, io sghignazzo, imbucando nel “buco” con “asta” lunga e mira(ta) infallibile. Ecco i “colpi” da biliardo, miei biliosi. Ah, mi sgambettan di falli, ma il mio fallo è sempre più falo che brucia e scalda sul tappeto verde del prato “ritto” d’erboristeria cosmetica, cometa in tutte le mele a cornificar le loro metà, mietendo altre vittime nel “mungendo”. Sì, mugolano d’ugole, e mi scappello da cowgirl.
Oggi ripudio il sesso e domani ne son vincitore di podi da puledre.
Io me le spolvero tutte, impoverendo i ricchi a cui frego lo “sfregamento”. Di sperone. Io do alle donne speranza.
I mariti, infatti, s’assentan per oneri lavorativi e io son l’operatore solidale ai “pianti” delle moglie, “piantandolo” ove cresca germogliante e rigoglioso, colto sul nascere di preliminari già a spruzzarvi per spupazzarla poi da “pazzo”. Ah, ne van matte. I padri ergon mattoni per educar le figlie, e io invece le ammattisco di “mattanza”. Mulatta o da stalle, basta che ci sia il latte.
Incontrai vari uomini che provaron, invano, a ledere l’erezione mia. Che sagitati! Agitiamoli di gomiti spaccati e crani frantumati!
Tentando d’ipnotizzarmi al fine di rimbambirmi per rimpicciolirmi come Bambi.
Sì, in tempi cerbiatti alla mia metafisca, amai Malick, eppur coniugo il “male” al bene della rabbia giovane, e m’elevo to the wonder. Ricordate, son solo che cervo erto.
Sfide fra genitori in lotta, famiglie agli antipodi d’odio perpetrato di generazione in azioni mai mutanti, perseverando diabolici nel tradizionalismo castrante.
Il mio vecchio vien equivocato per scemo, solo perché scandisce la sua classe in quel che vien reputata “lentezza”. Mentre i forsennati classisti tanto di “scaldano” di chiacchiera quanto non gustan le chicche, frenetici solo d’ebefrenia da “fenomeni”.
Scalmanatevi, altrimenti ammainati rimpiangerete la vostra nascita. Maledicendo il Dio che pregate e poi “starnutite”, starnazzando di bestemmie. Stramazzerete proprio di “rubamazzo” con la vostra “mazza” e sarete blasfemi perché poco affamati. Disprezzate gli effeminati ma nessuna femmina vi “affettate”. Sempre affrettati, oh che frettolosi. Che freddo!
Evviva il sudor che trema per(laceo) delle cosce, son gli odori del poro maschio contro gli zombi teschi.
Io su di Lei “zompetto” di “zampone”, e son gallo fra le gallinacce.
Ah, son allergico alla graminacea ma lecco la gramigna. Gnam gnam.
“Gnomo” io? Innanzitutto, ho un nome, il resto è su(in)o…
Tua madre è zoccola, non lesse Topolino ma fu “Titti” di Silvetro. Sì, ruspante pulcinella se lo spulciava.
“Detto tutto”, amo le tette. Un etto al Giorno toglie il grasso prosciutto del maial di torno, e medica la depressa, “premendo”.
Finirei con quest’aneddoto d’un disgraziato che dialogò con una “qualsiasi”:
– Ciao, come ti chiami?
– Mi chiamo “Chimica”. Mi reputi una puta? Mi “punti” il “dito?”.
– No, m’appunto la matematica del tuo ematoma. Quanti t’han succhiato?
– Cioè?
– Quanti t’han (am)montato di “danni?”.
– Uno all’anno.
– Analmente però molto di più, quotidianamente parlando.
– Sì, lo prendo in culo come subalterna precaria.
– Hai le carie, cara?
– Solo quando lecco lo zucchero del direttore.
– Quindi, ciò dimostra la mia teoria.
– Quale sarebbe?
– Se sei così, per forza lì deve “andare”.
– Ti do un calcio in mezzo alle gambe.
– Ce la fai?
– Che vorresti dire?
– Mi sembri sciancata. Il che è tutto tuo “darla”.
Finì in rissa, ma risi.
Ora, vado a russare. Sì, meglio la Russia delle “rosse”.
Fidatevi. Perdo il pelo ma non la pila.
La pila illumina geniale, è lampadina fra gli allampanati.
Evviva i lampi!
Soprattutto W la “lampo”. Il lama, le “lame”.
La “lana”.
Se animal fui, amato sia.
Firmato il Genius
(Stefano Falotico)