Spensieratezza, brindiamo, giochicchiando coi fluidi capelli d’una Donna a noi intinta nella brace, cortesemente sdraiata nei nostri orgasmi “sfilacciati”, affiliati, affinatissimi di miei denti che suggon il miele del seno suo ribaldo, e di baldacchino “giocondeggian” nell’onda di lussurie incastigabili.
Di quando, bimbo, spargevi i sassolini da Pollicino, orchidea già selvaggia per il tuo cammino “deviato” per non imboccare la retta via del nazista orco. Per sbeffeggiarlo di shining e “labirintizzarlo” nel suo freddo da “orsacchiotto” polarissimo. Sì, quell’orco t’accusò di depressione bipolare e sintomi che fan sinonimo con “pazzia”. Ma è lui il vile scellerato che brandì solo la carne più godereccia per bruciar i suoi figli, “allattandoli” alla protervia classista della sua “pedagogia” che disprezzava le musulmane sinagoghe e singhiozzò, ingozzandosi, di tutto fregio a sfregiar chi non s’appaiò ai suoi “paletti”. Da conficcargli vampiristici, donandogli sangue avido contro il suo venereo, destrorso AIDS da imbonitore dell’Avis, da “avo” anche delle sessualità, quando, nel suo mattin “florido”, già spalancava la bocca maialesca per altre macellerie inton(n)ate suo “intonso” abito da garzone, spadaccino di tenzoni stizziti per duellare, sbudellando, contro chi non s’esibì prosciuttesco come il suo vorace viso laido e grassissimo d’antropomorfa mortadella. Egli gridò imperiosamente “Morte!” a tutti coloro d’aff(l)iggere se non mercanteggiavano come la sua insanissima bottega per la (s)vendita delle anime da bovini. E “suineggiava”, “asinando” chi non s’accoccolò al suo presepino di statue di cera. Da posizionar a piacimento del suo “giocattolarle” nel suo “adulto” infantilismo solipsista. Sì, il demiurgo della “chirurgia” cucita a pelle, ad addobbarti di un’etichetta per ingobbirti se, a petto in fuori, non marciavi marcio come lui.
Sì, sbottonò le “cerniere” a ogni Gesù puro per “donargli” le “palle” e “salvarlo” dalla sua speciale unicità, per domarlo con “dominabile” bastone d’una vecchiaia davvero da “pastore”. E ammansì il gregge, ché non bestemmiasse inferocito se deturpato della sua verginità, con quella “gradita” simpatia degli “svezzamenti” inconcepibili, alteri contro ogni immacolata altra Concezione. Della vita, delle virtuose pudicizie, ché tutti si prostrassero come le prostituite al muschio “maschissimo” delle sue “pecorine”.
Un patetico mascalzonissimo, un Balanzon’ di grasso panzone. Che or “commedieggia” la sua tragedia (dis)umana, reinventandosi “attore” in recite parrocchiali ancor più oscene.
Sì, tanto sputò nel piatto dell’Ultima Cena quanto, prima di spegner la sua ultima candelina, vien “benedetto” da altri suoi vegliardoni vecchiacci malefici a “teatro”, ove tutti applaudono tal Giuda, onorandolo della sua “san(t)ità”. Sì, prima dell’unzione finale, d’estrema confessioncina alle sue porcate, crede di discolparsi per un Paradiso che gli sia “benefico”.
Tanto di “fica” era ossessionato che proprio infilzato, invece, dal Diavolo nell’Inferno sarà.
Ed eternamente, “infiammato”, espierà di “grande freddo”.
Sì, tanto spiò chi sospettò di pregiudizio che, così universalmente giudicato, sarà per sempre inculato.
Tanto “lottò” per uccidere gli “ossi buchi” che, da uno con “le corna in testa” e con più cornee di sua moglie, la cornutissima, “piacevolmente” l’ha ricevuto nel buchino.
Ah, che “serratura”. Ora, terrorizzato, chiude le serrande.
Perché vuol esser lasciato in pace. E viver sereno, consapevole di quanto (si) macchiò.
Io direi che, solo nel seder, tanto lo pigliò.
Sono come Jack Burton, svecchio gli stregoni. Odio la caccia, però, alle streghe.
Ora, mettete su un po’ di musica bambocci!
Firmato il Genius
(Stefano Falotico)
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