Ultimo “Manhattan” fra i “gangster” dei propri demoni
Il Cinema energico, poderoso, folgorante di Michael Mann, stavolta s’inerpica nell’imbrunito volto dei tramonti che si cosparsero di vital linfa trasgressiva.
Intonata a battiti di ciglia, nerissimi, come gli occhi dall’abisso “candido” di Johnny Depp, arrochiti nei tagli cristallini, turbinanti, “digitali” di spari e spasmo laconico, spalmati di limpida acquiescenza “assorbita” nelle vene drogate delle lisergiche calme apparenti, a detonar scattanti su, sopra, dentro sventranti, meticolose, furiose, “lancinanti”, infiammate rapine a rapirsi proprio l’anima per saccheggiarne il valore o, forse, elevarlo a trono di ribalda sfacciataggine “scont(r)ate” nelle regole assurte a insostenibile modello di “stile”. La vita dei (propri) processi alla morte d’esorcizzare nella perenne fuga assurda, appunto, che risorge a ogni smaltato fucile della chimera polverosa, abba(gl)iata di schizzi esangui, affranti ma mordaci con gaglioffe spavalderie frantumate, ecco, nella putredine che annebbiò gli squarci visionari della lirica mistica all’increspato ora romanticismo ferito nel ventre d’una levigatezza a destarlo poi nell’abisso del vortice della Luna più melliflua e “incatenata” all’incanto perduto.
Dream perito, strada piovigginosa di vetri affumicati, d’una battagliera rivalsa a istituzioni che legifereranno, ferocissime, a imbrigliar caudine la morigerata “castità” del te già divelto, svelto però a sfoderar il “grilletto”, come un gringo del solitario, assolatissimo West, era remota, scomparsa nella tua riapparizione da fantasma più vivo delle ombre che perseguitano la tua, “assediano” e bloccan lo sterno del tuo deviar dello sterzante, feral sferrar attacchi al brado, disumano lor morirsi dentro nei boschi sempre più foschi d’una menzognera “dolcezza”, apnea galleggiante delle temperature “equilibrate”, stagn(ol)e. A cucir claustrofobiche, e di fobia a impaurire, a iniettare la leguleia osservanza del loro, sì, cupo eclissarsi e tetro, stridulo occultarsi cadaverici dietro (s)coperte, “rinomate” nomee.
“Egide” di stelle di latta graffianti da sceriffi monolitici come J. Edgar.
Un Edgar che sbircia i suoi passi “robotici” per avvolgere l’America nell’illusione solo automatica delle calibro. Sì, “calibrata” nel t(u)ono soffuso, plumbeo e dentro burocratiche archiviazioni per un catalogo di plastica dalla compostezza tanto “filigrana” ad attenuar l’anima da incenerirla nella “pulizia formale” d’una asettica” virtù “bibliotecaria” del proprio volto legnoso. La setta dei corpi segreti…
Un Edgar manichino, scarnito negli zigomi obnubilati, “nubili”, tanto nobili anche da spezzarsi nel “cuoio” inespressivo d’una sagoma “virginale” del Billy Crudup obliato nel bianco più “cerone” e ceruleo, che (non) c’è. Come un ruolo “secondario” di demiurgica, ieratica, orripilante presenza inamovibile.
Michael Mann azzarda nel noir camuffato da “poliziesco”, un urlo raschiato d’una Storia nota quanto “banale” e senza “guizzi”.
La “vera” avventura di Dillinger, già un inganno. Perché Johnny Depp, anche se all’anagrafe più vecchio del “reale” Dillinger, appare etereo d’immarcescibile giovinezza senza Tempo, una proiezione svecchiata dunque, rinvigorita nell’efebica diafanità angelica di Depp stesso e altro(ve), smacchiata dal John “biografico” dei documenti ingialliti.
Ove le poche foto dell’FBI ce lo “dipingono” canaglia e sporco, Mann “immedesima” Depp nella sua iconica statura decadente da eroe bellissimo.
Come l’adorante primo piano iniziale, martellante di colonna sonora da “biglietto da visita” del suo innato carisma.
Come tutti i capolavori, e soprattutto come in Michael Mann, la trama è “stupida”. Buoni osservatori della “legge”, senza sfumature psicologiche, contro i “malvagi” banditi “mascherati”.
Gatti coi topi e viceversa. Fra evasioni a cui basta “schioccar le dita” per organizzare la propria liberazione, dall’angoscia ancora di sé, d’un viaggio già schiantato e cosciente della sua “intrepida”, tenera vigliaccheria.
Duelli metropolitani da spadaccini con le pistole, appunto un western “in costume”. Anni ’30 sbiaditi, o ancor più lucenti delle praterie, rasoi e creme da barba più affilate e dissanguanti delle lame dei coltelli, macchine lussuose e firmati “occhiolini” più coraggiosi delle cavalcanti città coi saloon, aperitivi morbidi e “harmony” più “scostumati” e smargiassi delle birre stronze nelle tavole calde.
Un Christian Bale titanico, senza sonno, missionario della “giustizia”, freddezza implacabile, un Depp asmatico e malinconico che sa quando e dove morirà, aspetta la sua fine proprio nello “schermo” del suo “melodramma” (in)glorioso.
A issare, brindare nel suo Cuore le gioie, i rimpianti, i rancori, la rabbia, l’amore e la Bellezza.
Una Cotillard sfuggente, peccaminosa anche solo quando terge d’acqua erotica pruriginosa, in vasca da bagno, col suo piede “scosciato” e stuzzicantisismo, il feticismo nervoso d’un leone combattivo ma fratturato, arso fra il vivere o morire da re(o) delle errabonde, “erronee”, sbavate, “brave” e “bevute” notti.
(Stefano Falotico)
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