L’attesa, insostenibilmente gialla, macchiata di nero, si riempie di suspense.
L’attesa, insostenibilmente gialla, macchiata di nero, si riempie di suspense.
Mi raccomando, e sarò “bastardo“. Caciottari, dico a voi. E ve lo ordino perentoriamente. Se mancherete a quest’appuntamento, se vi lascerete sfuggire quest’opera omnia di “filmografia da Dvd deluxe“, saranno minuti coi controcazzi.
Compratelo! Assolutamente!
Always first shoot, e ce lo si deve sparare, le questions vengono, appunto, dopo.
Anche perché Eli Wallach lo sapeva. Quando, ecco… si spara, si spara, non si parla.
(Stefano Falotico)
Once Upon a Time in America
Il Tempo nell’once upon un’altra (s)volta
Rinomate torsioni della memoria, “drogata”, sbiancata di ceruleo, denso liquore fra le “palpebre” dell’anima, d’occhiolini (mai) smaltiti, “ammattiti” da una tempesta emotiva che, d’effluvi sonanti nel ricordo, carezza torbida, tortuosa, “torreggiante” i propri giardini labirintici, “sbuffando” la “noia” delle lancette, lo scandir “mesto” d’imbrunite emozioni, svagate, cogitabonde, “ammanettate” al malinconico urlo e indocilite da acchetata brezza dei dolori e degli amori.
Come un treno “a vapore” che s’“inerpica” lungo la via solitaria di se stessi, “eremiti” in una città mitica in cui ricompari come diamanti “grezzi” d’una fantasmatica (ri)emersione dalle foglie autunnali, “invecchiate” o ringiovanite del tuo “vampiro”, assetato di nostalgico fumo nelle iridi dell’erta “pavidità” che (non) fu e delle altre coscienze “svanite”, imborghesite, morte dentro o forse ancora a morsicare le vanità degli attimi cancellati d’indelebile ma(i) erosa reminiscenza.
A riscoccare della magia che, intrepidi, stupidi, “inetti”, “perdenti”, reinventati o “rivinti”, intraprendemmo nel lontano, lontanissimo, remoto ammiccarci da “anziani” amici. Come ieri, come oggi, come l’eterno inamovibile.
Criminalotti “bambini” o già troppo uomini in questo Mondo di duri, che già scalfì al primo vagito “extrauterino”, incarnato in respiri ribelli “troppo” vivaci da “tacere” nei “silenziatori” delle pistole, a chiuder la bocca a un balordo sistema già epi(dermi)camente, all’epoca, grigio e “solare” di nerezza. Del “gironzolare” da oziosi e “scioperandi” disoccupati dall’obbligo “morale” a un’esistenza irresistibilissima per non viverla al massimo, dunque “fallita” per gli impiegati del “catasto”, sempre lì a tastarli, ad “arrestarli”, a perseguitarli, a (s)cacciarli… questi incalliti nelle loro candide, incandescentissime “innocenze” da angeli sporchi, macchiati nel sangue e negli zampilli “variopinti” della “marea”. A ballare sotto il ponte di Brooklyn, nel leitmotiv di Ennio Morricone, fischiettato di “ritornello” che non tornerà più, anzi, i tornanti delle alterazioni, del cambiamento, del growing up, della fiabesca “depravazione”, delle perdizioni appunto del “loser” Noodles.
Noodles, che “violenta” il piacere d’un invaghimento dell’infanzia. Che sbaglia le mosse o le azzeccherà tutte, nella “zecca” della banca dei sogni, ove la cassaforte è senza più un soldo.
Svuotato, infatuato di un ideale di Bellezza smarrita. Chissà dove. Chissà quando.
Chissà in quali anfratti, in quali angoli delle forti fragilità, delle “limpide” brume, di quali tramonti, di quale scor(d)ata, illusoriamente indimenticata “era”.
Un capolavoro assoluto che è nel genio Sergio Leone. La misoginia, il tradimento, i “valori”, le controversie, le “variegate versioni”, le cuciture, le aggiunte, i “restauri”, l’“appannato” rispolverarlo, le rivalità, le competizioni di nessun Oscar “agguantato”, i torti, gli errori, i rimpianti, tutto ciò non m’interessa. E non ce ne frega niente.
Un’opera maestosa lo è, di nascita. Non si può analizzarla di “riassuntini”, di “stilografiche” e di stilemi.
Piomba dal nulla e ti sorride col neo beffardo di De Niro.
Yesterday…
(Stefano Falotico)
Stephen King sono io, e pure Sutter Cane.
Meglio il purè, dai
Ho sempre amato i clown.
Il clown, di “suo”, cazzeggia e se ne bea. Sta nel circo, “scoscia” alle donne, mostrando il pelo “ritto” dinanzi ai mariti “dritti”, e d’occhiolino “annusa” già le prime pubertà dei bambini, “solleticando” la loro voglia di gelato al limone, con occhio “indelebile” da Pennywise che spunta da dietro le lenzuola dei “panni sporchi” d’una società bugiarda.
Egli è It, di Notte s’accomoda in salotto e gioca all'”allungotto”, selezionando con “cura” le migliori pornoattrici che “gliela offrono” sul piatto d'”argento”.
Sì, quello d’oro è già servito da quello “colato”, erculeo e dunque “inculato” più vicino alle zone “prelibate”, da “yogurtare” per “fermoimmagine” raccapricciante delle sue smorfiettina da gatta soddisfatta.
Mah, “goduta” o solo (ap)pagata?
Sul dubbio, “rimango in mutande”.
“Sfinisce” sempre così, sul più “bello” mi s'”ammoscia”.
Perché, dai “frizzi e lazzi” iniziali delle tante “infilzate”, il mio Cuore malinconico si spegne, arreso di fronte a quest’obbrobrio di carne “macellata” per “proiettarti” nel “piacere”.
Così, “scendo” nel tinello e accendo i fornelli. Spesso, medito seriamente (più serio di me, chi c’è?) di “porgere la guancia” sulla fiamma, per riscaldarla d'”amore bollente”.
Ma desisto e mi brucio solo il dito col fiammifero nell’attimo “friggente” delle riflessioni.
Passato il “bruciore”, riempio però lo stomaco, e mi cucino degli spaghetti con aglio, olio e peperoncino, appunto, cotti “ardenti”.
Più di quelle fredde mentecatte che son già fritte nella padella di quelle “palle”.
Sì, la pornografia è pallosa, dopo un po’ provoca… solo la fame.
E, mentre aspetti di “venire”, ritardi solo l’appetito.
A “dirlo” tutto”, io non ho mai avuto una grande propensione, diciamo, per questo tanto “vivandato” sesso del cazzo.
Mi ricordo che abbandonai gli studi, proprio in “virtù” di tale turbamento. Sì, le ragazze a quell’età sono frivole e pensano solo al pene. Giocando con le tue “dimensioni” e guardandoti dalla loro prospettiva.
Avranno tutto il tempo per “rifarsi”.
Infatti, dalla “bella” imbecillità iniziale della “passerella”, (s)passan” poi nello “shopping” delle scemelle, “colleghe” indaffarate ad amare i tacchi e a vestirsi “attraenti”.
Sì, per quel panzone che le riempirà di coccole.
E anche di pugni. Infatti, le cause di divorzio stanno aumentando più dell’idiozia delle “massaie”.
I maschi (non) son da meno(mati).
“Faticano” per le pagnotte, e poi infornano prendendo in giro il panettiere a cui rubano la farina del suo “sacco”.
Sì, quel poveretto viene solo umiliato dalle loro bocche ingorde da dottori “provetti” e di “provette” nella lievitazione della “mozzarella”.
Prima acquistano la mollica e poi gli fanno la “crosta”.
Perfino, il nostro “esimio” Jovanotti li appoggiò di sfottò col suo tutto il giorno inforno…
Il doppio senso del “venduto”.
Mah, il peggioramento è evidente.
Prima, avevamo la tigre di Cremona, adesso Cremonini Cesare.
Stava (sta ancora?) con Malika Ayane, ma son “falli” che (non) mi riguardano.
Malika mi ha sempre dato l’impressione di essere una “maiala”.
“Le” preferisco il Cinema di Terrence Malick e pure la figa del dragone di Cimino, Ariane.
Mah. Abbiamo avuto le tre parole di Valeria Rossi (meglio Pablito dell’82, che ne infilò tre al Brasile, che Sole!)
adesso le tre cos(c)e di ‘sta qua:
tre sono le cose che devo ricordarmi di fare
Te “lo” dico io quali:
1) In primis, guidi sempre in prima. Cambia marcia e il sedile posteriore sarà “reclinato” e non ti serviranno i fiori. Però la Notte rumoreggerà.
2) in secundis, dovresti conoscere Pasqualino, secondino che, assieme ai carcerati, gioca al “buchino”.
3) in terzis, vai a dar via il culo, appunto. Di tette stai messa bene. Mi pare una quarta. Otterrai un “lavoro” da “cantante” melodrammatica sulle strade dei “sogni”.
Dei camionisti.
Un mio amico mi “sprona”:
– Stefano, perché sei sempre triste?
Ti è morto il gatto?
– No. Sai però che verso fa il cane?
– Lo sanno tutti, fa bau-bau.
– No, fa “bua” che t’azzanna di dolore.
Applauso!
Firmato il Genius
(Stefano Falotico)
Un brivido sanguigno, acu(i)to nell'”incolmabile”, lacustre, “lenta” paura serpeggiante che (si) culminò
Carnefici(ne) o pure “sdrucciolevozze” d’una sbriciolata purezza
Siamo agli albori e negli “alberi” di questa tetra Notte, ove il Diavolo si camuffa “ipocondriaco” e mutevole, “artefatto” in un’anima che ne reinventerà altre, sventolando fiero nella sua vinta (ri)vincita.
Si “scuce”, “inscusabile”, lungo le “fontane” di brillanti borghesi a cui perlustra le proprietà private, minandone la contentezza di sardonica “euforia” nella brezza ferale, dolorosissima d’amarezza “inoltrata” nei suoi respiri attorcigliati a “grappoli” di sbrindellata, lacera m’ardente ancor vanità.
Soffocata d’urlo a rapir la magia d’attimi rubati, torpidezze d’una interezza umana “intirizzita”, rizzata ancor di vendicativo, erto ed “intrepido” animo d’audacia “lanceolata”.
Linciati (s)moriamo al buio…
Usurpata, brutalmente deturpata dalla maschera d’una legalità “mendace” per salvaguardare le “selve” dei floridi sogni innocenti dal lupo demoniaco dei boschi inf(r)anti.
Aleggiano, anzi, gli spauracchi d’un corvo notturno, lucidamente “levigato” nei furori d’una “insormontabilità” biblicamente punitiva a “veleggiar” di veleni reincarnati, quindi “carnali” di brada (ri)torsione, muscolare in guaine di guanto “liso” che si sfila, terrificante di “tremolio” alle coscienze, nella sfida superomistica intrecciata su deliri “misticheggianti” d’una onnipotenza “fischiettata”, di “rafforzata”, “stanca”, affranta “filosofia” però superba e invincibile come un Babau angoscioso nella sua carezza “azzannata”, a sé (dis)cinto, scultorea maceria del suo inestinguibile incendio che si “carbonizzerà” (ri)nascendo dal nero, “innocuo” bruciargli il Cuore.
Folclore dei colori in lui spenti e (il)lesi. “Carnevaleschi”.
Patimenti e martirio intagliato nelle vene “respiratorie” del suo arroventato asma delle illusioni perdute. “Mostro” d’ancestrali inferi, infuocato nella “luce” madida dell’oblio in cui s’eclissò, “claustrofobico” sarcofago di pelle umana denudata di “virilità” tanto “digrignante” nel luciferino, epico odio a chi, tanto “integerrimo” nelle prigioni della sua afflizione ne ha macchiato l’onore e il diritto alla vita di castigo (im)penitente, quanto laido nella “Pentecoste” di cattiva sua bugia “pestifera“, ne morsicò con indelebile (in)giustizia il primitivo candore.
E la morte corre sul fiume del “predicatore…“.
La “scolaretta”, che non ha visto il film, alzi la mano in segno di “bianchezza”.
A componimento del suo tema “favolistico” che, dopo la visione, cambierà di “variazione” al sentirla.
Alla percezione repentinamente spaventata dalla sua, appunto, ingenuo vederla in “bianco” e nero, or opacizzata, di “grida”, nelle “languide” dissolvenze del suo “pensierino” che “galleggia” allucinato sull’altra sponda del laghetto.
Max Cady, accusato di stupro nel 1977, torna in libertà e si trasferisce proprio nella cittadina ove vive il suo ex avvocato, Sam Bowden. Una “ridente” e “calma” (anche troppo) località della Florida…, il “loculo” del “Male”. I “luoghi” del delitto (im)perfetto che (ri)tornano.
E terrorizzano…
Max, infatti, non è tanto contento del suo “difensore”. Poteva risparmiargli o “alleggerire” leggermente la sua “crocifissione” tra le bestiali “fiamme” dei carcerati, solo se non avesse omesso il “fascicolo” del “sesto emendamento“…, “trascurabile clausola” che il nostro “stinco-santo” Bowden, “tacitamente”, non rispettò, tradendo “poco po(r)co'” il patto di lealtà alla Legge di cui dovrebbe essere “emissario” e “non “giudice”…
Anticostituzionalità di “promontorio” divino…
Nessuno, in questo Mondo meschino e crudele, porge l’altra guancia, anche quando (e se…, “come”) “peccò”.
Così, inizia una sfaccettata e complessa, combattutissima “fiaba”… dei “teatrini”… degli orrori.
Dunque una faida alle fedine, a chi è pedina(to), alle federi, alle fedi nuziali e alla fede(ltà) a Dio nella sua Holy Bible.
“Sgualcita?”.
“Fine” del filmone.
E del sermone.
Cristo sia lodato.
Sempre sia lodato.
Scambiatevi… la “Pace“.
Segni, segnali.
Amen.
(Stefano Falotico)
Per chi non l’avesse vista, “riclippiamola”:
“Interruzioni” lampanti nella fratturata limpidezza
Questo film esce, calmo e “acquietato” prima delle turbolenze di Tarantino, proprio prima che scoccassero, appunto, gli anni ’90 “perturbanti” e “rivoluzionari” d’un Cinema che, da tenere storie melodrammatiche e “tragiche”, si (s)lanciò furibondo nei “turpiloqui” sparati “a bazooka, lanciarazzi di controcazzi” su battute “irresistibili” e senza freni, rigenerato dai languori troppo soffici e “sdolcinati” di molto degli ottanta, invece perlopiù “inoculato” in fitte, “fittissime” trame tratte da “storie v(ip)ere”, spesso romanzate per “solleticare” un’America ancora sconfitta dall’incubo dei seventies, che rabbiosa “sputò” i suoi dolori mai sanati, mai proprio, di sinonimo “rafforzante”, rimarginati. Anzi, vite d’emarginati, di bordi di periferia fatiscenti su decadenze pensierose perché amputati dalla spensieratezza, in catarsi quasi sempre “esplosive” di collere e ribellioni, previste quant’ancora traumatizzate, sconcertanti di pomeriggi da ca(r)ni e tassisti melanconici nell'”estraneità” apparente che s'”eremitizzò” d'”anestetica” agonia laconica per (s)fuggir (dis)illusa dalle false lotte di potere o forse da un’identità rubata che masticò chilometri di strade consunte nell’anima già polverosa e non più negli “incantevoli”, retorici on the road.
Furti indegni a coscienze “innalzate” forse per la sopravvivenza d’un decoro lacerato, adombrate dalle ombre bugiarde di chi ne assopì l’ira salvifica, reprimendola di veli “taciti” a “silenziarle” per ammansirne, d’adulatoria ma “infida dolcezza”, il grido che latente vibrava per poi squarciare, powerful, “acusticissimo” e accusatorio senz’assolverle assolutamente, gli occhi, le orecchie e i “cuori” cinici di States in uno stato d’assoluta, ipocrita “dormienza”.
Le parvenze della “tranquillità”.
Dopo questo preambolo, iniziamo con la pellicola di Penny Marshall, candidata agli Oscar in tre categorie importantissime: “film, sceneggiatura non originale e miglior attore (De Niro)”.
In un ospedale “sperduto” dentro “analitici” sogni di pazienti “matti” e catatonici, dal libro di Oliver Sacks (raccolta di memorie e dalla sua esperienza in campo medico), un dottore innovativo (Robin Williams) sperimenta, scontrandosi con superiori e colleghi “tradizionali”, un nuovo farmaco, la “L-DOPA”.
Dopo imploranti, innumerevoli richieste all’ordine “superiore”, gli viene accordata la possibilità di somministrare la “cura” a un paziente da lui scelto, Leonard Lowe (De Niro), affetto dall’infanzia di encefalite letargica, virus scatenato da una patologia di cui, a tutt’oggi, nessuno è risalito alle cause che provocarono un breve ma letale contagio pandemico fra il 1917 e il 1924, proprio in alcune zone circoscrittte del Paese. Un raggio d'”azione” ignoto e spaventoso che ci ricorda, rabbrividente, l'”irrealtà” di E venne il giorno di Shyamalan.
Dopo alcuni tentativi fallimentari, il Dr. Malcolm Sayer (tale è il nome del personaggio di Robin, nel “biopic” d'”autopsie” su “cadaveri” da, “elettricamente”, “defibrillare” di nuova vita), anziché mantenere la stessa dose, prova invece ad aumentarla.
E, in una Notte “buia” quanto vividamente “allucinatoria”, il nostro Leonard riapre gli occhi e, appunto, miracolosamente si “risveglia”.
Prima l’incredulità stupefatta, poi i festeggiamenti e il “ritorno” al Mondo per Leonard.
Ci sono però “elementi” che il nostro “Frankenstein” Williams non aveva calcolato.
Innanzitutto, Leonard è adesso un Uomo, “fisicamente d’aspetto corporeo”, ma la sua mente è ferma quando s'”addormentò”, cioè ad uno stadio puberale.
Poi, l’elevato dosaggio del farmaco creerà mostruosamente assuefazione, costringendo il dottore a “drogarlo” con maggiore frequenza, per evitare i però inevitabili effetti collaterali che, in Lowe, si stanno manifestando in modo preoccupante e crescente: tic, movimenti scomposti, deliri e manie persecutorie.
E, il tripudio di gioia felicissima, d’una ins(u)perata quanto meravigliosa, rinata “sanità”, colerà a picco peggio della prima volta. Fermando tutto.
Un Williams, “finalmente” serio ma anche “sdrammatizzante” d’autoironia “amara”, è strepitosamente sobrio nelle lucide sue disperazioni da “missionario”, un po’ goffo ma inarrendibile.
Da caffè “finale” con l’infermiera timida per “scremare” l’impotenza avvilente dei suoi sforzi contro una Natura “geneticamente” cattiva e ingiusta.
De Niro, in varie facce dei suoi stessi celebri camaleontismi, sfodera un Robert (in)aspettato, di multipla (im)personalità.
Dalle “espressioni” (im)mobili della prima mezz’ora, in cui “non muove un muscolo facciale”, al “rinfrescante” esser “rigenerato”. Così tanto, forse d'”abusare” di smorfie non solo “malate” ma “insopportabili” d’istrionismo troppo “immedesimato nella parte scomoda”.
Amatissimo alla sua uscita e oggi, come al solito, bistrattato di “rivalutazioni” a criticarne la verosomiglianza “alterata”, appunto, dalla realtà.
Non è invece affatto un film “melato”, è un incubo angosciantissimo che “uccide” ancora.
(Inter)rotto nella vita.
(Stefano Falotico)
Non avrei mai pensato che Mark Wahlberg e Russell Crowe avrebbero potuto lavorare assieme.
Invece, sono uno di fronte all’altro in una storia di corruption davvero “platinata”.
(Stefano falotico)
“Non gli somigliano pe’ niente!“.
Per fortuna
Sono delle fighe plurime dal nome “appaiabile” (ma chi le appaga “queste” qui? Un quaquaraqua, ah, o uno che dà la “paga a tutte”?, capisco, un pappone) che hanno avuto varie volte modo e “minutaggio” per spogliarsi, mostrando tutto il “bellissimo… vedere”
Eteree, diciamo. Chi le ha fottute, ha un sederone!
Lo ebbe. “crebbe”.
E, come Johnny Depp, con lo “stecchino” piglio tutte per le sottane.
Tanto, sono più misogine di me.
Infatti, si sposano con dei “minchioni”.
Firmato il Genius
(Stefano Falotico)
Sì, inutile che “armeggi” quel cinesino magrolino che “sgattaiolò” d’addome piatto.
Io mi sarei preoccupato, di più, molto di più, di “appiattire” Sheryl sul letto. Che gattona. Che miagolio.
Dal “ca(l)mino” con furore. Dalla cagna con ardori.
“Eccola”, resident evil.
Be’, dopo tante malinconie di Marty, un culo così mette di buon umore.
Pare che anche “Il Mereghetti” abbia avuto il “ritaglio” dai suoi “impegni”, per “impegnarlo” d’onanismo.
Tanto, più masturbatorie delle puttanate che scrive, gli mancava solo il “pisello” con la panna, condito con delle “farfalle”.
Angie è l’unica che non s’è scopato.
Comunque, Angie se li è fatti tutti, compreso Joe Pesci.
Per tal “morbidezza” della Everhart, Everhard ha lasciato “stare”.
Quando costui morirà, scriveranno: “Partì da Tera Patrick e da allora non s’è mai ammalato di sifilide. Come c’è riuscito? Innanzitutto, tutto tutto era sempre lì, scompariva… poi Erik, qui sotto (prima s-tette un po’ ovunque) che giace, dopo aver tanto giaciuto, era un maiale che s’accertava della profilassi. A differenza di molte donniciole che si fidarono della pillola ritardante…, e si scoprì che erano le sue zoccole”.
Da come è “messo a novanta” Mickey Rourke in questa robaccia, capiamo quanto ha faticato Aronofsky a scommettere sul suo wrestler, “pompandolo” di nuovo.
Quell’Uomo è uno scemo.
E il Bob lo sapeva.
Infatti, lo lascia col suo “fantasma“.
Twin Peaks, e Lui invece si mangia il Twixt con Natashona sulle strade parigine del bacio “Perugina”.
Ah, quello era un tedesco, la Derek di Long Beach. Infatti, in quella “spiaggia”, era “lunghissimo” per Bo, che non è la provincia di Bologna, ma una “mortadellona”.
Da “infilare” col salame.
A Rene piace il “rosso”, ed Eddie Murphy, il “nero”, spinge.
Il Bob mondiale, intanto, allieta l’interraziale, plasmando l’argilla d’una carriera che stava andando “in puttanissima”.
Appunto.
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