(In)visibili onde em(p)atiche
Venezia è il porto della mia anima quando, scoraggiato spesso da un Mondo vigliacco, attracco “ai bordi” d’un Mar Adriatico ch’è “scala mobile” dei miei pensieri, come le acque a sommerger le antiche, adamantine ville nelle sue “lenzuola” meste, modernità “sincronizzata” a un Tempo d’incanti e atavica, splendida nostalgia che balugina nelle sue profondità trasparenti, ove i miei neri occhi si “tuffan” nei vicoli della memoria, fra vetuste nevrosi dell'”uomo” contemporaneo, avvezzo alla frivolezza per scacciar le noie e raggranellar solo aromi appassiti.
Qui, affogo le autodistruttive pulsioni e, nel tramonto sfocato di gondolieri “canterini”, son infuocato nel battito alato dei miei falchi “licantropici” a irradiar il Sole “smorto” delle rigide piogge autunnali, nella neve “rugiadamente” abbagliata da mistiche contemplazioni.
Seduto col mio giubbotto, respirandogli polmonare, mentre sfila una ragazza in pantaloncini corti e strizzato seno nel “balconcino”, ne “alliscio” il profumo delle sue gambe nei chilometri delle ruote della sua bicicletta flessuosa a evocar l’orgasmo fruttuoso ché, assieme, ne fruiremo, roteando vicino agli scogli del nostro Eros più “grezzo”.
Ma poi, appunto, “annacquo” il “livello” e m’infilo solo in una sala affollata da gente che non merita il mio saluto. Anche qui, “(l)odo” donne snodate, dai culi perentori che saran solo “aculeo” al mio (g)orgoglio virile. Nello “snobismo” più “selettivo” del maschio meno metafisico ma dalla taurina fisicità, ché la proteggerà accalorandola senza indolenzirla con le sue depressioni e la solleciterà, sollevandola d’umor ad “amarla” anche nel “Meteo” della mestruazione, nel solletico “affascinante” d'”arguzie” lessicali spesso “infurbite” dal poter goder tale “alta”, l’ambita “vessillifera” di tacchi a spillo che lambirà, invece, solo il mio dolore troppo recondito per baciarla di “gentilezze” squallidamente carnali.
Impiegati, preoccupati dal mut(u)o, ecco che adocchian Malick sbuffando e, dopo circa mezz’ora di proiezione, “elevan” un grido infastidito da una storia “senza tra(u)ma”, pretendendo “spiegazioni” perché “non capiscono”.
Solo una signora, stravaccata nella poltroncina “dietro di me”, ha il coraggio d’esser sincera sino in fondo e allora, quando Ben Affleck, anziché recitare monolohi interiori che poco s’addicono a un “carino” tanto distante dalle filosofie immaginative (e in immagini liquide) di Malick, scioglie tutte le sue illanguidite iridi in un più ben più “materico” amplesso, sfoderando addominali piatti e un bicipe dal tatuaggio “carismatico”, la senti eccome “eruttare” in un “Era ora che ti spogliassi, Cristo! Almeno, noi del gentil sesso godiamo un po’, ché qua non c’è piaciuto neanche Javier Bardem in veste talare, poco consona alla sua sciupafemmine robustezza, non c’ha attizzato così conciato pateticamente e fuori ruolo in abiti da ieratico prete triste e perplesso, insoddisfatto della sua vocazione” (tanto che, quando verso il finale, proprio il grande Bardem accetta la sua “missione” e si prodiga, senza più dubbi, nella cura degli anziani e dei bisognosi, la stessa “signora”, “in linea” con la sua “spiccata spiritualità religiosa”, “sbrocca” in un “Oh Dio, oh Signore e Madonna Santissima, di Male in peggio, ora sembra lo spot dell’otto per mille alla Chiesa cattolica, ma vai in mona(co) davvero, espressione molto di moda, appunto, fra le vecchiette della zona).
Si tira sempre in ballo il “National Geographic” quando si vuol ironizzare su una fotografia all’apparenza troppo “di cartolina”, ma Malick crea la prima opera senza alcun dialogo, se non nell’onirica (messa in) scena in cui la nostra italianissima Romina Mondello incita la sua amica “melanconica”, e noi spettatori, a fluttuare nel Mondo, come zingari, come streghe, come vampiri, come “mostri“. A viverci rendendoci visibili… altrimenti passerà in un lampo…
Malick, oramai, non ha più bisogno di “esternare”, e decanta aforisticamente dentro (“sventrandoci” da ogni orpello e agghindata falsità) l’anima dell’amore.
Nel suo Grazie alla Bellezza. E dei pochi che ossequiano e, a loro viverla/lo, questa pellicola e il Mondo, ne applaudono l’unicità.
Poi, esco sconsolato, mentre fuori “dardeggia” una Notte di Luna meditabonda.
E, mentre il motor “impazzito” del mio “abitacolo” mentale, è diluito nell’asfalto morbido, mi sento “spaesato” come Bardem, d’allucinazioni di coscienza in una società barbarica travestita nella “vivacità” più superficiale.
E sono io a non capire, tentennando di “farneticazioni” violentissime, come se un ignorante si fosse alzato dal suo “comodo” seggiolino e avesse scheggiato, con “frantumanti” pugni disgustosi, lo schermo, le emozioni e lo sguardo di Terrence. Credendosi per altro intelligente col suo umorismo “satirico” e acido.
E tutto ciò, quando poi mi vien mente che quasi tutta la sala ha “inveito” di fischi e “Buhhh!” ridanciani, mi rattrista ma, all'”unisono” trascendente ed “enigmatico”, son Bardo-amatamente felice di me, a passo leggiadro fra chi, osceno, distrugge le armonie.
E ne annerisce o annerirà ancora le luci. Nel frastuono del loro madornale buio.
Chi ha stroncato questo film, è giusto che si meriti una vita da “pizzaiolo” che vorrebbe “piazzarsi”.
(Stefano Falotico)
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