Archive for September, 2012

“This Must Be the Place”, il Trailer americano


09 Sep

Magnifico!

 

(Stefano Falotico)

“To the Wonder” – Recensione


09 Sep

 

(In)visibili onde em(p)atiche

 

Venezia è il porto della mia anima quando, scoraggiato spesso da un Mondo vigliacco, attracco “ai bordi” d’un Mar Adriatico ch’è “scala mobile” dei miei pensieri, come le acque a sommerger le antiche, adamantine ville nelle sue “lenzuola” meste, modernità “sincronizzata” a un Tempo d’incanti e atavica, splendida nostalgia che balugina nelle sue profondità trasparenti, ove i miei neri occhi si “tuffan” nei vicoli della memoria, fra vetuste nevrosi dell'”uomo” contemporaneo, avvezzo alla frivolezza per scacciar le noie e raggranellar solo aromi appassiti.

 

Qui, affogo le autodistruttive pulsioni e, nel tramonto sfocato di gondolieri “canterini”, son infuocato nel battito alato dei miei falchi “licantropici” a irradiar il Sole “smorto” delle rigide piogge autunnali, nella neve “rugiadamente” abbagliata da mistiche contemplazioni.

 

Seduto col mio giubbotto, respirandogli polmonare, mentre sfila una ragazza in pantaloncini corti e strizzato seno nel “balconcino”, ne “alliscio” il profumo delle sue gambe nei chilometri delle ruote della sua bicicletta flessuosa a evocar l’orgasmo fruttuoso ché, assieme, ne fruiremo, roteando vicino agli scogli del nostro Eros più “grezzo”.

 

Ma poi, appunto, “annacquo” il “livello” e m’infilo solo in una sala affollata da gente che non merita il mio saluto. Anche qui, “(l)odo” donne snodate, dai culi perentori che saran solo “aculeo” al mio (g)orgoglio virile. Nello “snobismo” più “selettivo” del maschio meno metafisico ma dalla taurina fisicità, ché la proteggerà accalorandola senza indolenzirla con le sue depressioni e la solleciterà, sollevandola d’umor ad “amarla” anche nel “Meteo” della mestruazione, nel solletico “affascinante” d'”arguzie” lessicali spesso “infurbite” dal poter goder tale “alta”, l’ambita “vessillifera” di tacchi a spillo che lambirà, invece, solo il mio dolore troppo recondito per baciarla di “gentilezze” squallidamente carnali.

 

Impiegati, preoccupati dal mut(u)o, ecco che adocchian Malick sbuffando e, dopo circa mezz’ora di proiezione, “elevan” un grido infastidito da una storia “senza tra(u)ma”, pretendendo “spiegazioni” perché “non capiscono”.

Solo una signora, stravaccata nella poltroncina “dietro di me”, ha il coraggio d’esser sincera sino in fondo e allora, quando Ben Affleck, anziché recitare monolohi interiori che poco s’addicono a un “carino” tanto distante dalle filosofie immaginative (e in immagini liquide) di Malick, scioglie tutte le sue illanguidite iridi in un più ben più “materico” amplesso, sfoderando addominali piatti e un bicipe dal tatuaggio “carismatico”, la senti eccome “eruttare” in un “Era ora che ti spogliassi, Cristo! Almeno, noi del gentil sesso godiamo un po’, ché qua non c’è piaciuto neanche Javier Bardem in veste talare, poco consona alla sua sciupafemmine robustezza, non c’ha attizzato così conciato pateticamente e fuori ruolo in abiti da ieratico prete triste e perplesso, insoddisfatto della sua vocazione” (tanto che, quando verso il finale, proprio il grande Bardem accetta la sua “missione” e si prodiga, senza più dubbi, nella cura degli anziani e dei bisognosi, la stessa “signora”, “in linea” con la sua “spiccata spiritualità religiosa”, “sbrocca” in un “Oh Dio, oh Signore e Madonna Santissima, di Male in peggio, ora sembra lo spot dell’otto per mille alla Chiesa cattolica, ma vai in mona(co) davvero, espressione molto di moda, appunto, fra le vecchiette della zona).

 

Si tira sempre in ballo il “National Geographic” quando si vuol ironizzare su una fotografia all’apparenza troppo “di cartolina”, ma Malick crea la prima opera senza alcun dialogo, se non nell’onirica (messa in) scena in cui la nostra italianissima Romina Mondello incita la sua amica “melanconica”, e noi spettatori, a fluttuare nel Mondo, come zingari, come streghe, come vampiri, come “mostri“. A viverci rendendoci visibili… altrimenti passerà in un lampo…

 

Malick, oramai, non ha più bisogno di “esternare”, e decanta aforisticamente dentro (“sventrandoci” da ogni orpello e agghindata falsità) l’anima dell’amore.

 

Nel suo Grazie alla Bellezza. E dei pochi che ossequiano e, a loro viverla/lo, questa pellicola e il Mondo, ne applaudono l’unicità.

 

Poi, esco sconsolato, mentre fuori “dardeggia” una Notte di Luna meditabonda.

E, mentre il motor “impazzito” del mio “abitacolo” mentale, è diluito nell’asfalto morbido, mi sento “spaesato” come Bardem, d’allucinazioni di coscienza in una società barbarica travestita nella “vivacità” più superficiale.

 

E sono io a non capire, tentennando di “farneticazioni” violentissime, come se un ignorante si fosse alzato dal suo “comodo” seggiolino e avesse scheggiato, con “frantumanti” pugni disgustosi, lo schermo, le emozioni e lo sguardo di Terrence. Credendosi per altro intelligente col suo umorismo “satirico” e acido.

 

E tutto ciò, quando poi mi vien mente che quasi tutta la sala ha “inveito” di fischi e “Buhhh!” ridanciani, mi rattrista ma, all'”unisono” trascendente ed “enigmatico”, son Bardo-amatamente felice di me, a passo leggiadro fra chi, osceno, distrugge le armonie.

E ne annerisce o annerirà ancora le luci. Nel frastuono del loro madornale buio.

 

Chi ha stroncato questo film, è giusto che si meriti una vita da “pizzaiolo” che vorrebbe “piazzarsi”.

 

(Stefano Falotico)

 

 

 

 

Winona Ryder – La “Bellezza” dell’Uomo di ghiaccio


09 Sep

Eccoli qua, sfilare e “conferenziare”, uno Shannon inquietante e un Liotta “magretto”, una Ryder d’occhi “strabuzzati” ma gran gnocca, ancora e ancora.

 

(Stefano Falotico)

“The Iceman” – Recensione


09 Sep

 

L'”asmatica” maschera del ghiaccio divampante

Richard Kuklinski, colosso impassibile, immutabilmente tetro come un film che danza acquatico in un’anima dallo spettro già morto, come un Babbo Natale irredento nelle funeree onde già stuprate d’una dolenza remota, walking mai ridente, polacco di “macigno” grezzo del Cuore, nascondiglio dai furtivi scatti, che giace dietro una morbida città dai peccati infausti, celati in una coltre “ovattata” di monocorde monotonia, nel sangue già terso di prigioni cimiteriali, di panchine “sdrucite” in uno slavato Sole arrugginito, ove a ruggire, proprio “scongelandosi, è forse la coscienza d’inter(n)e solitudini dimenticate da un Dio ceruleo nelle ceneri dei “vinti”.

Sprigionati rintocchi d’un dondolio vulcanico inacchetabile, inarrestata “litania” dal serpeggiarvi denso, allucinato, scomparso, “estraneo”, marmoree membra squagliate come lama autodistruttiva del suo dolore più “cutaneo” e piangente.

 

Kuklinski, martire, dalla pelle “a scaglie” dentro fluttuanti espressioni mortifere, ove anche il guizzo è un lampante istinto omicida, come il tunnel “cieco” che intravede gli spiragli di luci bianche a “innervar” iridi nerissime ma di cangianti umori pericolosi dal tortuoso incurvar i muscoli flebili di labbra “pittate” in un azzurro d’illagrimato rosso “squillante” nell’abissale discesa negli inferi delle pulsioni incontrollabili, quasi aldilà mistico che respira fra echi e “picchi” di sieste e paradisiaco illanguidimento di svenevolezza romantica per poi, implacabile, spietatamente sicario ad “agghindar” solo il dark d’un orrido fantasma, vicario forse delle “fantasie” pazze dei burattinai assassini in cui “trasmigra” da emissario satanico negli anfratti di fiamma “ossidrica” dal lancinante urlo che si “dimena” ammutolito proprio “digrignando” gli occhi di “vetro” nelle smorfie della vittima designata, “anonimo”, ignoto, fuggitivo incarnato in possenza muscolare dai tremolii glaciali nella vigoria “orca” d’istinti a domar solo gli spasmi della follia.

 

Boati e poesie come strade illuminate a sprazzi, incendiate dall’ice fulmineo di spari.

 

Kuklinski, incenerito fra vagabondanti illusioni, già spente, riaccese dal sorriso d’una famiglia, l’unico pentimento di cui si discolpa, nella “flemma” ieratica di commoventi dissolvenze, “fermoimmaginate” anche nell’imperdonabile confessione agli spettatori, terrificati, che (non) possono giudicarlo con “obiettività”.

La vita è un incrocio d’errori, errando sbagliamo, come Richard dichiara, esausto, finito, affranto solo per i suoi cari.

Fra il suo specchio che non ha paura del buio della condanna eterna, lapidaria, “divina”, un Cristo disegnato nei suoi zigomi di cuoio e nella titanica sua statura appassita come foglie solo sognanti di un autunnale “obitorio” per la sua stessa micidiale autopsia.

 

Sul banco degli imputati, a fissarci, a guardarsi (in noi) dentro, nel ventre visceral, “acustico” d’agonica “pioggia” nel viso, in una penombra che spaventa, distrutta come un flash magnifico che ha divelto le tutto.

 

Forse, “Richie” più che the iceman è il nothing (e “morphing“) crepuscolare della sua opalescenza nelle note, notti malinconiche d’uno Springsteen laconicamente “irrequieto” di sua chetezza “tramontante”, rabbia nel lacero incanto contemplativo su macerie incarnate, apparenza svanita in evasioni estemporanee, (de)frammentate del suo “non c’è” che vocifera “lucifereggiando”, lampeggia d’ardori che gli brucian dentro, schizzando nelle sue vene d’uno psichedelico inturgidirsi dalle acute, anche “rimpiante” fragilità che si scorporano da un Cuore suo tensivo, fantasmaticamente “cristallo” spezzato nel baluginar “morso” delle interiora, di martoriate stesse estasi che lubrifica e smalta nelle tempeste improvvise degli imponderabili turbinii.

Squartante, si ricoagula per ferire, ferirsi, feralmente mostruoso ancora nell’infinito dolore.

Grido spaventoso, distruzioni, reset che cancella e poi (s’)offusca. Arde, (s’)annienta. S’annerisce e s’illumina di nuovo, “ammodernato” negli abiti eleganti d’ una “personalità” dell'”alta finanza”.

 

La sua famiglia, pearl argentata della violenza, della sua umanità, profonda, che spacca le “mura domestiche” quando dichiara il suo straziante, struggente darling nel suo kiss “tatuatole” per sempre…

Perché ama ed è Uomo solo quando adorato dagli amplessi romantici nello Sguardo della moglie, nella creaturale innocenza dei figli, forse ad accudire e uccidere il sé che non ha mai coccolato.

 

Il cui unico abominio è stato averli traditi, averli fatti soffrire.

 

Michael Shannon, in un ruolo “cucito” nell’Oscar, una Winona Ryder dolcissima, ringiovanità in un’ancor più bella maturità, un Ray Liotta “riesumato” dal goodfella “fallito” d’una criminalità davvero triste, un cameo lugubre di James Franco, uno Stephen Dorff finalmente “brutto”, un Chris Evans che, del Capitan America, è solo lo spaventapasseri della sua “arietta” sbruffoncella da laido truffatore delle sue idiozie.

 

E, solitario, l’iceman si congeda, voltandosi da un’altra parte, aspettando il patibolo.

“Punitore” d’un Mondo sbagliato, “(as)sol(d)ato” alla deriva che ha trovato, nella sua traviata “ingenuità”, il capro espiatorio di tutta la merda.

 

La prima… di chi è senza Peccato…“.

 

 

(Stefano Falotico)

“Silver Linings Playbook”, il primo Poster


08 Sep

 

Eccolo qua, dalla Weinstein Company.

“Follia pura”.

 

(Stefano Falotico)

“The Master”, il Trailer definitivo


08 Sep

 

Inizierà domani il Festival di Venezia (quando è stato “concepito” questo post era… così) e noi cinefili ci stiam già “imbarcando”. Alcuni, i più “frettolosi” e impazienti, son già al Lido, ove però tutti quanti potremo ammirare, in anteprima mondiale, quello che è forse il film più atteso dell’anno, che mi par noioso scrivere “per titolo”.

 

Oggi, è uscito il trailer “finale”.

 

 

(Stefano Falotico)

Genius-Pop

Just another WordPress site (il mio sito cinematograficamente geniale)