Un Principe non morirà mai, né ieri né (nel) domani… L’ignorante s’inteporisce in un cantuccio di “calducci”, e fenomenologie da baraccone, da “baracchine” e da baraccopoli si districan (s)fumando in un gemito doloroso, costernato di “meteorologie” dell’anima che si raschia nelle intimità patite, nel color soffuso di variegate schegge ove la stella, offuscata, si spegne nel “patibolar” (rim)piangersi e latrar per “abbindolare” un altro po’ l’asma che, un Tempo recondito fa, si sfamava, amò e negli ansimi si “deturpava” d’una Bellezza anche melanconicissima di “cristalli liquidi” nel tuo plasma “criogenico”, “igienicissimo” e mai sbavato al pudore da equilibrare per non essere disintegrati da una meta solo acrimoniosa e da meteore di lagrima “corrugata” nell’adirato volto “patetico” da buffone di “classe” senz'”arte” dell’erta, artefatta, costruita pantomima ove ogni maschera è celata dietro geli agghiaccianti, e si (s)posa nel “riposo”. Spossati. Così, la vita avvolgendo va, fra ricordi appesi al tracollo e chi decollerà… anche nel “collare” di ghigliottine a reciderti e stremarti col fin, “affinato”, di temprarti per inorgoglirti o solo, invero, “impoltrirti” e impoverirti dentro per adombrarti e “adorarti” secondo l’idolatria di massa di un tuo “santino” senza imperfezioni… ché difetterà sempre dell’amore e degli affetti, anche “infilato” nel “sacro” sesso d’una promessa da fedi nuziali. Così, ronzando, airone del mio arcobaleno e dei miei aquiloni, falco e rapace, “inetto” e “non adatto”, gabbiano solitario di libertà maestra su lidi e scogli di “scoscese” rive imbrunite e “incarnate” nei tuoi granuli polverosi, Donna desiderata o solo “ariosa” per vanitose “burle”, seduzione inarrivabile di frammenti levigati, ardimentosi e “labili” di sabbia (im)mobile, m’inarco e prostro senza più frecce. Scagliando una pietra, come una roccia (in)felice d’un pacato tramonto, ai sogni che ambii, rifuggendoli per “nascondermi” com’esigo che io non mi (s)trucchi d’apparenze da aperitivi “tranquilli”. Oh, chi scorgo laggiù. Il mio amico dell’infanzia, guarda guarda come è intonato all'”intonnato”. Come corteggia la sua collega e la “squadra” da “feticismo” con lo zuccherino su “galanterie” furbette d'(ig)nobilissima altezzosità da “elegante”. Estro o solo pedestre della solita corsa per l'”aiuola” campestre? Che bel cravattino e che risata “impareggiabile”, come beve “leggero” e come muove la bocca di “delicatezze” sorseggianti il già “prossimo” (m)assaggio. La genetica (s)radicata, la ribellione mai castigata, violentata eppur ancor sono puma indomito. Senza spalline, “spalluccia”, “palle”, e non sgomiterò ma, sgommando, andrò affondando. O solo riaffiorato e da voi, sfioriti, neppure sfiorato. Ancor non “forgiato”, ancora non “adagiato”. Non imputtanito e neanche “(fianc)ancheggiante”. Fin a quando, in una serenità “dolomitica” di montagna “a strapiombo”, non sprofonderò nel vostro sonno. Tragico addio o coraggio? Interruzione o miraggio? Viaggio o “lavaggio?”. Forse, solo i raggi…
Firmato il Genius (Stefano Falotico)
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