Ossessione fanatica
Gil Renard saves the day…
La voce calda di Ferruccio Amendola è già “denirizzata” in Gil, in una lunga filastrocca sui titoli di testa intagliati in foto sportive d’epoca in bianco e nero, allineate al Tempo che l’ha erose negli abiti da “commesso viaggiatore” di Gil, anima persa d’una caotica America sul furgoncino di valigie senza speranza, “abbigliate” nelle “incravattate” bretelle d’una patologia da maniacale tifoso dei Giants e del suo idolo Bobby Rayburn, nuova stella da 40 milioni di dollari.
Gil, nei labili zigomi d’un De Niro “accoltellato” in smorfie orrorifiche da silente Babau della sua Notte più inquieta, fantasma senz’appariscenza di lillipuziana piccola borghesia anonima.
La vita, tempesta ondivaga d’illusioni, come un sogno che brillava armonioso in una giornata solare, quand’eri eroe vincente della fiamma nell’aurora d’occhi vivi(di) immortalati da un flash che li captava euforici nella gioia d’un attimo memorabile, che è l’intimo desiderio di tutto il viaggio, prima dei cheti crepuscoli che anneriscon l’anima.
Superbo De Niro, mimesi d’altri “folli” d’una battaglia persa col “baseball“, ove vigon regole in cui “obbedirsi” e adempier salvo fuoricampo che scroscino dardeggiando nell’applauso d’iridi non più assopite ma nel vitreo visibilio che le squaglia danzando ove i ciechi possan pulsar nel Cuore.
Maschera beffarda, che si scandisce e scolpisce in una degenerata pazzia che si coagula fra le sue rughe, la brizzolata e cortissima capigliatura d’argentea rasatura nelle “cornici” di labbra sottili e mobilissime, d’una contorsione agonizzante che s’inabissa, tetra, nel buio e lo sospira immolandolo a “virtù”, a grazia che sibili per cristallizzar anche la folgore morbosa d’una esistenza vinta, mai vissuta.
Maschera d’un Max Cady pacato che riemerge dal magma dell’impigrito “nylon” che ne offuscò la Luce, Bickle meno lucido dal tormento irriverente da clown con gli scatti nervici d’un collo dondolante quanto rigidissimo, del sudore che cola dalla fronte e (os)cura le ferite nella lama del coltello. Anche le sue, o le suture.
Autista senza meta dell’autodistruzione “programmatica”, “festoso” come i due leit-motiv in colonna sonora, nei fremiti carnali di Mick Jagger coi suoi “demoni” e Trent Reznor nell'”incularla” sfacciato & osceno. Esibizionista della sua spellata, ma forse profumata nudità.
Uno dei migliori Tony Scott, di veloce ritmo, “gergale”, con grandi lampi, anche fra le “piogge” di Dariusz Wolski, attori affidabilissimi e una vera star nascente per una sauna rossissima, Benicio Del Toro.
Film “titanizzato” nel neo ghignante d’un impareggiabile Bob(by).
Forse un capolavoro o una “stronzata” che però sazia.
(Stefano Falotico)