Chi è Cassio? Doppi giochi di “pie”, pedine spie…
Richard Gere è “toponimo” del suo cognome quasi omonimo, anzi Uomo, pavone “a ventaglio” d’una Bellezza sempre “brezzolatamente” ingrigita ma “a planar” di suoi folti capelli di liscezze d’uno “scialbo-shampoo” dalle punte annerite Sol di “fiochezze”.
Gigolò d’attempata ma sicura “maniera”, è ancora arioso d’un frizzante sessappiglio moderato d’occhi “civettuoli”, quasi dunque femminei, ambigue essenze/ialità del maschio in personam a impersonar, quindi, se stesso di matura scioltezza di riflessi prontissimi nell’apparente sonnecchiarli di palpebre un po’ “aggrottate” nella fronte rugosa, col solito fascino “frontale” di chi sa d’esser ancora beniamimo e beneamato dal gentil sesso, dunque amabile anche al suo falò, perché “armato” d’egregia, signorile autostima “aviatrice” ma rassicurante.
Pe anni, ha incarnato, infatti, il modello, il sex symbol delle fantasie da allibir di rosa purpurea del suo (palco)scenico finzionale, quanto regalmente realissimo, come a dir loro: “Sono qui, potete toccarmi, anche solo dietro lo schermo, ma un po’ vi schernisco spassandomelo/a con Cindy Crawford”.
Un gran bello, senza dubbio, atleticamente forse “imbolsito” da una “cera” sul viso di troppa crema/cremosità, e una legnosa “attitudine” a un “vecchio” metodo attoriale.
D’ammodernar sempre col démodè congenito d’una “indemoniata” severità garbata e “classicheggiante”, forse perfino troppo castigato rispetto all’odore della sua “pelle”, alla feromonica emissione eroticamente ipercalorica d’una “dieta al carisma” a vincer i sofismi delle diegetiche.
Lui è questo, ma qui è anche altro.
“Ralenti-ato” come i fotogrammi già “fotografici”, flashback ripetuti a “riavvolgerlo”, nell’avvolgente Luce diafana di Jeffrey L. Kimball, maestro delle cromatiche “cromature” del John Woo prettamente più “americano”.
Quello, appunto, mnemonico, “aerobico” nel Tempo e nelle amicizie virili da windtalker o da kafkiani paycheck.
Cassius, in originale, da noi Cassio, nessuno l’ha visto, è morto, no, è scomparso nel buio, lasciando ultime tracce di sangue a Washington.
Collo reciso di dovizia affilata a mozzar giugulari troppo “parlanti”.
Film di ombre, oldissimo, ma mobilissimo nella “sabbia” del balletto fra suoi specchi “nitidi” ma pieni di polvere, non solo da sparo.
Il famoso tema del doppio, qui “intitolato”, guerra fredda non solo politica, ma “lucertolesca” fra anime di “giuste” menzogne, “fraudolenti” però fratelli delle stesse missioni.
Come il finale, quando Gere “abbranca” la sua vendetta, e si riflette già scomposto e (s)morto, spezzato suo vetro d’un destino sempre cicatrizzato di fratture. Infrantissime appena le (s)legava e “allacciava”.
Già, troppo placato, troppo “pensionato” per essere davvero Lui.
Il resto, (non) è scritto nella trama, e Michael Brandt dirige nel filo sottile dei complotti e, soprattutto, della complicità.
Non solo USA, anche nostra.
(Stefano Falotico)
Il trailer italiano della Eagle Pictures:
Eh sì, tieniti stretti i tuoi (ne)mici…
Tags: Michael Brandt, Richard Gere, The Double