Il peccaminoso bosco degli “insoliti” omicidi irrisolti
Un Incipit dilaniato da un cadavere “virginale” che piange la sua innocenza nel sangue incoagulabile d’una livida morte.
Il solito mostro (ma, potrebbero essere più d’uno…) dalla hydiana, bifronte personalità mascherata dietro l’intonso “costume” d’una vita “normale”.
Chi è il mostro?
Storia già “sentita” che potrebbe rinvigorirsi d'”accecante sorpresa” se la figlia di Michael Mann osasse di più, “fiabescamente nera”, su atmosfere torbide di fantasmatici boschi immersi nelle tenebre.
Ma un senso farraginoso di “sgrammaticato” analfabetismo all’appassionante fulgor del genere thriller, appesta il film di un’aria professionale da immatura opera prima.
Son proprio gli abusati stilemi, chiamateli pure cliché d’una adempienza troppo rispettosa delle “regole”, ad ammantar la pellicola di discreta, fin troppo, “discrezionalità”. Anzi, senza una concisa, densa, innervata direzione.
Molte strade già percorse di destini affini d’incrociate vite “storte”.
Poliziotti raggrinziti nella disillusione di chi, però, idealista desidera abbrancare il “lupo nero”, un’adolescente, già “tuffata” nell’orrore ancora prima di salvarsi. Redenzioni già, anzi, spellate dalle arrugginite vite di periferie fatiscenti, d’asfalti inumiditi malinconicamente da troppe “piogge”.
Non so, scuoto il capo, non m’ha affascinato, sebbene la sparatoria da “western-metropolitano” abbia la secchezza d’un Eastwood dagli sprazzi “soleggianti” e roboanti dell’adrenalico Mann. Ma è un DNA estemporaneo d’una “genetica” impalpabile nella noia, sì, generale.
Ci sono notturne inquadrature che sfiorano le nostre iridi ma, prima d'”incendiarle”, invisibilmente le abbiamo già dimenticate.
L’intrigante Ami Canaan Mann ha un profilo d’androginia anche sexy, come quasi tutte le donne intraprendenti, ma il suo film rimane intrappolato dal suo, forse, “non averlo girato”.
(Stefano Falotico)
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