Sì, Stefano Falotico, nato nel Mondo, dunque “immondo”, il 13 Settembre del ’79, quando Walter Hill sguinzagliava i Guerrieri della Notte, e Marlon Brando “narrava” dell’orrore nella giungla delle nostre Apocalypse Now.
Breve “diagnosi” d’un letterato, appassionatamente spassionato di se stesso, molto “appassito”, ma cinematograficamente vivido, ah, i lividi…
Sì, già Joker, ricordai il mio stand by me in una “detection story” molto noir, molto corrugata in me, per amabili lucenze d’una fanciullezza che cresceva.
Il mio primo romanzo, “Una passeggiata perfetta”, su cui taluni ironizzaron definendolo “Una passeggiata disastrosa”.
è’ in realtà uno dei capisaldi della mia mente che iniziò a “vacillar”, e dunque a scribacchiar o sol a “scricchiolar”, “diaristicamente” avvolta dal mio evolvermi, anche sdrucciolevole.
Presentato dal Docente di Letteratura e Filosofia dell’Università di Bologna, l’esimio Luigi Weber, il libro riscosse grandi consensi, soprattutto fra i “seni” di donne pronte a vezzeggiarmi per un talento che era “esploso”.
A parte gli scherzi, eccovi la sinossi, la prefazione e un breve, ma incisivo estratto:
Stefano Falotico nasce a Bologna nel 1979, anno dell’uscita di due must assoluti della storia del cinema: I guerrieri della notte di Walter Hill e Apocalypse now di Francis Ford Coppola.
Da sempre fautore di un Mondo sganciato da moralismi, sostiene il libero arbitrio, il progresso metafisico e la ricerca dello sperimentalismo, la visione “trasversale” delle cose e della realtà, che ritiene essere frutto della nostra mente e non sempre di ciò che gli altri vorrebbero farci vedere.
Adora le vite irregolari, “frastagliate”, senza troppi punti fermi. Fra i suoi interessi il cinema, il “nulla” che riempie, compenetra la vita, il sogno che è movimento. Il sogno che tiene vive le emozioni, le alimenta, le altera, le energizza.
Qual è dunque la cifra di Una passeggiata perfetta, che pare opera così slegata e priva di un motivo unificante? La risposta ce la fornisce l’autore stesso nelle pagine iniziali dell’opera, quando istituisce un paragone tra la sua narrativa e la tecnica del regista David Lynch, che a proposito di un suo film caratterizzato da eventi inconsequenziali e paradossali parlava di trasposizione cinematografica dello psychogenic puke, il rigurgito psicogeno, una malattia psichica che comporta il rifiuto della cosiddetta realtà normale e la sua sostituzione con un mondo parallelo che l’individuo alienato ritiene essere l’unico autentico, «una realtà alternativa con regole proprie, da lui tollerabili. Non una semplice rimozione cognitiva, ma un’autarchia soggettiva riflessa», per riprendere le lucide parole dell’autore. (Dalla Prefazione di Gianni Caccia) * * * II Frank era un tipo alquanto strano. Tutti in quartiere avevano timore di lui per i suoi modi sfacciatamente antiborghesi e allo stesso tempo gli portavano grande rispetto e stima per via della sua acutissima intelligenza. Uno che era meglio non frequentare troppo, ma da cui ci si sentiva irrimediabilmente attratti. Era un grande amico. Il nostro grande amico Frank. Era una sera in cui soffiava un soffice vento caldo. Passeggiavamo allegri per strada. Ci sentivamo i padroni del mondo. Quella sera il locale era davvero affollato. Eravamo seduti attorno al tavolo con in mano le nostre birre. Frank continuava a ripulirsi la schiuma dalle labbra. Josh, imperterrito, importunava le ragazze dietro di noi con battutine di dubbio gusto. Daniel era zitto e pensieroso e faceva finta di ascoltare quanto Michael aveva da dirgli. |