Appuntamenti al buio di un fantasma nel tuo incubo elevato al culo, sette desideri proibiti che scardinai a femmineo aroma mascolino del mio “muscolo”
Sì, sono rimasto con l’Idraulico Gel(ato) in mano e, di (n)ano, nel congelatore.
Sono un patito delle donne e del loro compatirmi nel pianto fra le piantine, collezionista ed erborista oltre ogni dire e non dare di pianoforte nella succosa melina di rinfrescante mia “mentina”, ridondo in doni al “mio” stanco, afflosciato, “fasciato” e (non) pompato. Da poppante grande mica tanto eppur notevole di salivari ghiandole su tornito glande al torroncino, “innaffio” come i giardinieri a potarmelo, e il mio portamento sbuffa a modo d’una caffettiera che stantuffa il suo domestico ufficio ove, non addomesticato, amplio il pipistrello schizzando sulle piastrelle e m’esercito nel rinforzar gli addominali del vivere pigramente da dromedario.
A tutti i folli faccio un baffo perché in confronto a me son ovattati e, dinanzi a “cotanto”, mi pulisco le orecchie di cotton fioc, arruffandolo.
Scaldo le cene di patate che s’azzuffan per un “pelo” di petto di pollo in più e il mio sorriso è un pulcino crescente in gallo cedrone se la tacchina alza la gonna dell’insalata “fredda”, con far acid(ul)o come le olive ascolane del mio “pascolarmelo”. Ingurgitando pastasciutta, mi conservo di fisico asciutto e di figa mia cruda al prosciutto, origlio il frigorifero pieno di origano per masturbarlo al peperoncino in maniera salvifica grazie al “whisky” che vi verso sopra contro ogni vitale conversione da stronze. Si chiama giuramento al duro tenerlo. Altro che i tenenti.
Non sono delicato con le donne, in quanto ombelicale cazzone di mia danza del ventre e avventato di quel che, a ventaglio, sta appena sotto del da me movimentarlo.
Vengo anche sul pavimento. Non abbiate spavento, è solo un organico sparo dei “granuli”, anche se vorrai bombarla di granate e sol li sgran(chisc)o fra donne che non sgranocchio eppur adocchiandole non sono come i finocchi.
“Agito” con (in)discrezione e scruto con calore a pelle d’un viso mio spudorato in tanto spugnettarmelo, previo spugnette detergenti l’igiene del tensivo mai spupazzato eppure (s)gonfiando.
Sono la bile e insopportabilità di fegato corroso nell’album(e) dei ricordi. Da piccolo, ce l’avevo grosso. “Crescendo”, si è rimpicciolito a forza di svilupparmelo con toccarmi liscio, assottigliante fra un ammirare la modella-sottiletta e il mio topo in piena forma. Penoso di pene o forse impennerà alla puttanesca.
Sì, l’usura e il freddo lontano dalle ars(ur)e han assiderato le calorie.
Comunque s(t)ia, salutami la suora. Ovunque in segreto e in “sagrestia”. Evviva le sangrie!
E le sette camicie sudano.
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