Miei tassi a voi che interessa di come lo “intesso?” A te, fesso che hai il chiodo fisso, a te, di fessura, ecco come batte il ferro del mestiere. Fra una giarrettiera e un tirarmelo di doppie punte con permanente cotta a puntino!
Allegria, via dagli allergici “letargici” e letali, sono lor il letame, amate, io sono il Testamento e t’incorno di “sacramenti” per elargir la “viva” ipocondria e, nell’evviva il parroco, sul barbiere delle Barbie! Su, belate pecorine!
Con pachidermica epidermide, navigo nel vostro stagno, oh sì, io vi stano e affloscio la proboscide da elefante nel “laghetto” d’una Donna prominente, come la corna… musa ispiratrice delle mie profumate narici, aspiranti i suoi mestruali dolori anestetici al sessual godimento per sciacquarla… in divorante “ottovolante” su e giù a mo’ d’aspirine rilassanti. D’un rilascio prolungato, un depot depositario del seminar il “panico” con tanto d’impregnare e tutte “bagnare”. Sì, mi copro d’impermeabile sul panno (s)porco e mai in panne montate d’atimia montantissima a tutto “tiro” ma dura tutta la Notte e non solo un attimo (in)dimenticabile, anaffettivo eppur “infettando” i buchi biliosi di biliardo e poi estraendo l’ossobuco nello scarnificarlo a issar il mio per la figa conturbante! Quanto in buca, non sbocca!
Sì, guido a velocità supersonica, rallentando solo in prossimità delle “curve pericolose”, per una sosta “disse(s)tante” e di tambur battente con tanto di gonfiar il pneumatico martello del “radiatore” da (ri)caricare a reiterata umidità ancor solare, mai ritirandolo anche nella mu(l)ta! Anzi, con me parlerà di bolletta.
Sì, uno psichiatra vorrebbe castrarmi di sedativi ma sua moglie, nel sedere, inchiappettai e or sta solo che seduto, mentre io, come il Toro indiano, fumo la sua pipa e schiaccio il (ta)bacco. Lei lo imbocca e il bocchino è a monito “freudiano” dell’inconscio infilato a sue cosce sconce del nostro dottore ché, mostro, è or “tranquillizzato” nel mio frenarla su accelerate di tutta che s’allarga, spingendo nella gemente su elargirglielo con giravolte e “avvolgibili” tanto “melanconiche” quanto “agonica” struscia la gonna e poi dondola nel marino mio “gondoliere”. A remi calmi, da Sospiri veneziani e Ponte “festivo” e da carnevale veneziano per altro baccano e ani “bisestili” ad anal su una di sesta e quindi altri dotti di astio, carnalissimo sguaiato, in gola e a canal “Glande”, trionfante come modellarlo a maniera di Murano, previo troppe sue urla da insonorizzato muro di cint(u)ra.
Inasprito è solo per una di Astio, mangusta è per il gusto anche della puttana di Gustavo, pugliese che non la fa ragliare nel succhiarla a cima di rapa. Io, di vongole, vengo sgusciante ché scudiscio quelle lisce.
Ah ah, tu stai lì, lo stallone sta qua, mio baccalà. Il pesce moltiplico in forme poliedriche d’altezza perpendicolar nello scender, di cerniera slacciata, in “basso” ventre danzante con tanto di seno latteo negli amplessi arrapanti.
Di poppa polpante! Grondan i capezzoli da me morsicchiati e, di mordente, Lei spela il pelin d’orsacchiotta a “lupara” dell’ararla in poi arido “inacidir” costei quando l’abbandonerò per altre bone a cui lo “abbono” .
Che bombolone!
Io rimpinguo la vacua che poi di grida evacua e d’acqua è (ga)vetta d’altro (s)premerla sul grilletto lavico di slavato e quindi ad altre lucidarla. Basta che non sian vacche e lo ficco. Me la danno, che “danni”, e do ridondante a rose d’iosa giocose.
Non porgo mimose, eppur amo anche le more e di nessuna m’innamoro. In quanto Iago contro il Moro che, geloso del mio goloso, a Venezia appunto “sbianca” in me anche nelle nere.
A raccolta, tutta la congrega inci(n)ta la mia statua greca affinché affili il coltello spartano per altri “spartiacque” liberatori come Mosè a comandamento contro le leggi dei dementi. Ai faraoni, preferisco la faraona di “spaccata”, ai polli il mio “pollo” arrosto su carne contornata di patate abbrustolite. Son Sansone di capelli e spello anche quelle magre come uno spillo per “appigliarlo” ove nel culo lo piglieranno. Pigiando, vado “vendemmiando”, lo vendo a grappoli per l’uva alla quale aggrapparlo, che grappe, mentre voi “volpi” non addiverrete al venir nella vulva.
Abbasso i lamentosi e sopra le ardimentose!
Ecco una bionda, domani una birra.
Ecco il Guinness del “primate”, ecco la scimmia che t’ha fatto anche la scema della tua fidanzata babbuina. Bamboccio, io spolpo fin alle ossa. E di pompelmo premo se, formosa, Lei me la regala di limoni rossi. Come la Sicilia a tanti culi del mio mai (e)mettere la sicura. Stai sicuro che son più siculo di te. Soprattutto di suoi sì per altri culo e seni. Ecco il mio asino.
La cavallina va matta per il mio “matterello” che scopa fantino a “sfoglia” e di caldo si scioglie nella Macedonia!
Io mi rado, nessuna risparmio, barba e lavaggio inclusi nel p(r)ezzo.
E taglio-cucio se t’agiti di troppo “topa”.
Il troppo è troppo, il topo tappa.
E tu non stappi. Son io che strappo le palle.
(Stefano Falotico)
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