Fratelli e sorelle della congrega, cinti in raccoglimento, noi non siamo stati accolti da quest’accolita di deficienti che gironzolano, ridendo come matti. Vollero che soffrissimo di coliti poiché ci considerarono spastici.
Loro cattivamente con noi non furono elastici e noi invece continuiamo a vivere liberi, lontani da ogni fascista Maciste e da questo abbruttente mastice.
Ecco a voi il video da me realizzato di quel che già io ieri dissi. E ivi ridico con la mia imperiosa voce strafottente.
Sì, s’è attuato oramai da circa vent’anni, anche di più, un progressivo mutamento sociale che, purtroppo, il potere vuole oscurare. Quello, apparentemente invisibile di Internet e dei social, appunto. Ammazza che paradosso non solo temporale, oserei dire da rivoluzione industriale.
Poiché, come nella leggenda del vaso di Pandora, il potere desidera nuovamente celare le oscure macchinazioni che dominano i giochi classistici e, di conseguenza, regolano l’abietto schiavismo, spesso opportunista, che dagli albori dei nostri umani primordi, gerarchizzano il mondo in suddivisioni arbitrarie di caste.
Anche di case. Visto che chi ha più soldi, dunque è più potente, ha di solito una casa migliore del debole angariato dal signorotto tutto tronfio e di sé pienotto. Sì, il signorotto prende di mira il malcapitato di turno e fa sì che venga ad libitum sfruttato, castigato, (in)castrato, relegato a servo della gleba assai mortificato, svilito ma soprattutto spompato. Sul quale esercita fieramente il suo prosopopeico, filisteo diritto, dipingerlo come bella statuina del presepio.
Ah, questa è una prosapia che continua all’infinito. Poiché il potente dice al suo pulcino di non alzare la cresta, narcotizzandolo e dannandolo, nanizzandolo sempre perentoriamente con fottute reprimende. Ah, è davvero tremendo. Non vuole che il pulcino cresca ma che, cristallizzato nella sua bassa statura, come Calimero si senta brutto e diverso. Appena il suo pio pio assume una voce un po’ più forte, ecco che il potente lo vuole far tornare infante e demente, indottrinandolo di consigli pedagogici da Montessori, ah, donna pia, ma intanto il potente si tuffa nel suo tesoro. E lì vi sguazza con tante discinte, bombastiche ragazze, false suore.
Che ipocrisia, alla faccia del cazzo.
Sì, lo fa vivere nel muschio, lo getta nel rusco una volta che son finite le feste. Cosicché, il povero pastorello aspetta la notte di San Lorenzo e quella di San Silvetro, augurandosi che qualche re mago possa da benefattore elargirgli attimi, invero oramai persi e irreversibili, di bagliori inattingibili, donandogli l’attimo fuggente di speranze lucenti come una fugace, veloce e appunto imprendibile stella cometa decadente. E poi ottenebrandolo ancora nella poesia di Quasimodo:
ognuno sta solo sul cuor della terra,
trafitto da un raggio di sole
ed è subito sera.
Appena al poveretto ricala la notte, il potente gli dice che è penoso e che gli fa calar le brache mentre lui cola ridente e frizzante, con tanto di spumante, nella prostituta pagata a peso doratissimo dopo che ai suoi dipendenti ha tolto pure le mutande.
È uno scostumato, giudica gli altri, da lui reputati appunto inetti e incapaci. S’è pure buttato in politica, sostenendo che combatte la mafia affinché non avvengano più stragi come quella di Capaci.
Ah, è un rapace, esprime giudizi a vanvera e vive in contumacia. Mentre agli altri toglie pure i soldi per una soda arancia. Ah, questo qui tutti mangia.
È il classico trombone che ricatta i giovani senza lavoro, urlando loro che si dovrebbero vergognare. Che, anziché amoreggiare e sognare in grande, quanto prima debbano coprirsi di dignità.
È un dovere! Un richiamo all’ordine e alle armi!
Per lui sono tutti inferiori, soldatini e cervelli piccoli. Sì, essendo statista e stronzo mai visto, ce l’ha pure con gli stagisti. Non solo coi fancazzisti.
Maltratta chiunque come se fosse Fantozzi ma è lui quello che pappa i maritozzi…altrui, rubando le mogli più bone grazie al fascino del suo adamantino carisma di risma splendente da compratore delle più belle signore in virtù del suo sorriso a trentadue denti placcati d’oro suadente.
Egli vive di allori. Sì, non è mica un incolto. S’è preso, eccome, onestamente una laurea.
Fa come il principe Carlo e i suoi figli. Questi qua hanno frequentato le scuole più prestigiose per non fare un cazzo tutto il dì. Andando a ricevimenti e party, facendosi solo belli per i flash dei paparazzi.
E noi saremmo i pazzi? Dico, stiamo impazzendo? Che follia è mai questa ove la sottomessa folla acclama la regina quando invero, come in un film giustissimo di Ken Loach, non ha più neanche in campagna la sua vecchia, già arrugginita cascina poiché ora non può pagare nemmeno le bollette di una miserissima cantina? Ah, ma le persone che credono all’idiozia della monarchia, eh già, si fanno trattare da squallide pedine. Campano a stento nella merda di una latrina e non hanno un soldo bucato neanche per potersi comprare una lattina di birra e poter brindare allegramente con un amico a lor umanamente vicino con dello scaduto vino.
È veramente uno schifo.
Sono qui tutti porci come quel maiale di Mickey Rourke ne La vendetta di Carter.
E io invece sono sufficiente stupido per farmi massacrare di botte (ah, la botte è piena e tua moglie ubriaca) e ritornare ancora a ridartele e a suonartele anche se, caro ipocrita, volesti rovinarmi la faccia.
Sono il più cattivo di tutti. Come Joe Pesci di Casinò. Quando al banchiere che vuole fotterlo, eh sì, lui dice quello che sapete…
Con me non attacca. Sono come Bud Spencer di Bomber. Entra nella bottega del barbiere, un tizio gli dice che lui è un duro e Bud lo appende al muro.
Che potete farmi? Bruciarmi la casa con la vostra casta? Ah sì, con voi quella è castissima, con me è invece orgasmica e, da castana, diventa ariana. Un vero Stallone italiano. Sì, sono fuori come un cavallo. E non lascerò mai vincere i criminali. Non si era capito? Davvero speravano di mettermi a tacere e insabbiare tutto con quattro sberle?
La vendetta di Carter, un film da me ritenuto cult, un film che in quel lontano 2003 non avrei mai dovuto vedere.
Sì, sarei rimasto castigato nell’etichetta appioppatami da un demente. E invece io per te, idiota, tornerò sempre. Quando meno te l’aspetti. Quando pensi di averla fatta franca e avermi fatto scemo. Quando pensi che te la puoi ridere e cantare, ballando, mio bello.
di Stefano Falotico
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