Vivo in un Paese dove tutti credono in Dio e nessuno se ne interessa. Io non credo in Dio ma me ne interesso molto.
La nostra società è disfatta, e la borghesia è morta, il teatro non esiste più, l’’erotismo è stato fagocitato dal consumismo, ci hanno anestetizzato, imbottito di tranquillanti, sono riusciti a non farci più reagire. Hanno proprio vinto gli imbecilli, gli idioti.
I giovani sono più fregati di noi. Non leggono, non hanno vere curiosità. Si gonfiano di slogan che sostituiscono alla cultura e spacciano per cultura, senza aver nulla da dire. Urlano e fanno rumore. Sono già pronti per l’archivio. La nostra è una società che archivia tutto, mette tutto in grandi scaffali. Sono le riforme, le così decantate riforme.
Queste alcune delle provocazioni di Carmelo Bene, che a mio avviso non erano affatto provocazioni. Credo che credesse davvero alle sue parole.
Un mio amico mi ha detto che la frase si muore sempre a Venezia è di Bene. Ah sì, Lorenzaccio. Non lo so, non mi risulta. So soltanto che Morte a Venezia è di Thomas Mann, e che c’è l’omonimo, famoso film di Visconti con Dirk Bogarde.
L’ultimo volta che son stato a Venezia è stato nel 2014, ultima volta, peraltro, per cui mi recai a questa fanfaronata chiamata Festival. Alloggiai in un albergo gestito da monaci ove, se ti scoprivano intento a fumare, chiamavano la Municipale. Stetti in camera con un mezzo matto, in realtà un ragazzo confuso, parlava sempre di fighe e figotte, di blowjob e “cose affini”. Un ragazzo tormentato che provai a curare. La nostra “relazione”, non fraintendete, voi che pensate sempre male, non vi è mai stato nulla di omosessuale, finì con me che gli diedi un sonoro calcio in culo, detonandogli tosto in viso un urlo allarmante. Lui, spaventato, corse via, tornando in albergo. Anch’io, dopo essermi fermato a un bar, a bere un caffè e ad ammirare il ricco panorama di donzelle dai culi basculanti, in quel decadere di fine agosto con le sue ultime solarità erotiche, feci ritorno all’albergo. Ove il “gentil” signore aveva già messo in guardia la receptionist, dicendole che nelle sere seguenti avrebbe dormito da solo. In poche parole, mi aveva “sfrattato”. Cercai di patteggiare con costui, di concordare un compromesso. Ma, offesosi a tal punto per il mio gesto sfrontato, mi disse imperiosamente che non voleva mai più vedermi in vita sua. E non aveva dunque per niente intenzione di stare in una stanza in compagnia del sottoscritto. Io avevo ordinato i biglietti e, da enorme gentleman, mi congedai, senz’aggiungere altro, conscio di aver ferito il suo animo ancora non pronto a un sano litigio virilmente amicale. Troppo pudico nonostante, come detto, si desse un tono da uomo fatto, che invero parlava dalla mattina alla sera di cosce femminili e orgasmi fetidi.
E gli lasciai in dono i biglietti delle proiezioni di due film con Pacino, Manglehorn e The Humbling.
Sì, era l’anno di Birdman, che aprì le danze, e quello fu infatti l’ultimo film della kermesse che vidi e che, penso, vedrò lì al Lido. Un film che impiegai molto a metabolizzare. Gl’impiegati lo snobbarono in fretta, io son sempre restio, dinanzi alle opere complesse, a emanare un giudizio affrettato. Su due piedi, come si suol dire, poco mi convinse, anche perché non ero ancora dotato di occhiali e capii ben poco dei sottotitoli. Il mio inglese è soddisfacente, infatti per il 90 per cento lo compresi, ma non è così ottimale da poter apprezzare le sfumature anglosassoni di alcune battute topiche. Capii comunque che la Watts dava la sua topa a Norton, uno con la faccia da castoro. Come la Cagnotto, di cui parlerò poi.
Credo, oggi come oggi, che Birdman sia un grande film.
Detto questo, devo andarmene, fuggire, gettarmi nel mare veneziano e nuotare nelle profondità marine come il “mostro” di The Shape of Water. Lontano da questa realtà meschina, abietta, ripugnante e miserabile.
Ecco che la mia vicina di casa, Angela, ricomincia a scassare il cazzo. Non poteva rimanere ancora al Lido? Sì, degli Estensi. Ogni volta che arrivo con l’ascensore sul mio pianerottolo e lei spalanca la porta:
– Ah, scusa. Non pensare che ti spii. Lo so, ogni volta succede… è… che penso sia mio marito, Mario, oppure mia figlia che viene a farmi visita. Sento chiudersi l’ascensore e… beh, scusa.
Ha rotto veramente il cazzo. Davvero.
Ma, a dire il vero, anche Facebook me le ha scassate a dovere.
Impazzano i pazzi, i frustratissimi che, dopo giornate di lavoro alienante, sfogano tutti i lor mal di pancia in post osceni.
Abbiamo, da un po’ di tempo a questa parte, anche la “bella figa”. Ora, chiariamoci, questa di natiche sta messa bene. Sostiene che il seno è il suo pezzo forte. Sì, è siliconato, ma ci sta… La faccia è di culo, ok.
Sapendo di essere molto bella, dunque di attirare le ingordigie maschili, esagera con provocazioni a raffica. Dicendo che non è poi così gnocca. Perché le sarebbe assegnato solo il terzo posto a livello mondiale dopo la Jolie e la Theron. Dice che il suo ragazzo ha problemi erettili e che, quindi, è in cerca di qualcuno, voglioso, che assai presto la faccia godere come una matta, visto che invece è sanissima… Consapevole che nessuno dei suoi corteggiatori di Facebook sarebbe alla sua altezza. Tanto per scatenare faide e altro pullulare di uomini bavosi alla conquista della sua donna inarrivabile dal seno maestoso. Ecco allora che questi sfigatissimi idioti scrivono a lei, nei commenti, poesie d’amore, nel patetico tentativo di far breccia sempre in lei, chi sennò, lei che si vende eppur non la dà, attizzando a volontà e godendo da voyeur che ride sotto i baffi di tali cascamorti stupidissimi. I suoi cucciolini…
Insomma, lei dice che se ne fotte di tutto e tutti. Perché sa di essere bona!
Questa a Nadia Cassini che fu fa un baffo…
Sì, io che faccio per migliorare questo mondo? Non tanto. Scrivo libri e monografie, effettuo recensioni cinematografiche, perlopiù m’informo. Le parole sono importanti! Sosteneva Moretti in Palombella rossa.
Sì, lo sono, le parole smuovono le coscienze, aprono la mente, danno una maggiore visione prospettica all’infima e nana realtà di tutti i giorni. Le parole estasiano, le parole sono tutto quello che abbiamo.
Perché, sì in Italia, tutti non vedono l’ora di crescere… e sistemarsi. Una volta sistemati, diventano menefreghisti, fanno le boccacce nei selfie con gli amici, o meglio pseudo tali, dei ruffiani leccaculo, tanto la panza è piena.
Checco Zalone, lo ammetto, fa ridere anche me. Soprattutto nella parodia di Cassano e quando storpia La locomotiva di Guccini. Sì, perché i giovani d’oggi, tanto forti e “fighi”, devono trovar lavoro con Indeed e Job Act! Perché in Italia, The Sisters Brothers di Audiard viene subito strumentalizzato e, nelle mani, dei radiocronisti e dei presentatori dei programmi pomeridiani della RAI, diventa un oggetto di studio sul conflittuale rapporto tra fratelli, sul difficile growing up esistenziale che acquisisce una dimensione sociologica attuale nella contemporaneità consanguinea dei nostri interpersonali scontri generazionali.
Sì, l’Italia è questa. Un Paese ove tutti vanno al festival e vogliono dire la loro, con la “cultura” dei neo-laureati da Giovani Marmotte, un’Italia che si scompiscia per Cristiano Militello!
E non ha il coraggio di dire che segue le olimpiadi di nuoto sincronizzato e le tuffatrici solo per avere erezioni purissime dinanzi a queste donne perfettamente lucenti di cosce stratosferiche.
Tania Cagnotto, ti ringrazio, per i tuoi tuffi. Zampillavo… a non finire. Da medaglia d’oro. Lustrato in modo aureo, a mille carati…
Io sono onesto, lo sono sempre stato. Per questo sono davvero un “santo”, un poeta, un navigatore.
Purtroppo, vorrei smentirmi e dir di non esserlo, per farvi felici. Sono realmente un genio. E questa è una tragedia immane. Una delle più grandi tragedie della Storia. Purtroppo.
di Stefano Falotico
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