Sì, la mia vita è sempre stata segnata impunemente da una maledizione. Come Rutger Hauer in questo film bellissimo, in questa favola senza tempo, appena scocca qualcosa di luccicante e rifulgente nella mia vita, ecco che vengo intrappolato e obliato dal mio stesso buio esistenziale, e allora divento dark, scrivendo libri noir, e accomodandomi a una malinconia imperitura, duratura, ferente e affliggente. E mi sfuggono le bionde suadenti alla Michelle Pfeiffer in questa spettrale rifrangenza, cosicché addebito la colpa sempre a sfortunate circostanze, a lapidari, estemporanei brutti frangenti.
E mi perdo nella dimenticanza dei miei stessi abbandoni, lascivo lascio trafiggermi dalle asce di un tempo sfuggente e, come Hauer in Blade Runner, quasi ogni sera prima di prender sonno rammemoro il famoso, finale suo monologo, dissipandomi nella sconsolazione, e osservando la colomba bianca dell’aquilotto che sono in mezzo a un mondo di tontoloni e pecoroni. Poi, al mattino dopo, mi risveglio perché ancor non son morto, e faccio lauta colazione, deglutendo un morbido cappuccino che è cremoso quanto un bacio pugnace alla Pfeiffer da me sempre bramata, perché solo nella fantasticheria più romantica l’uomo è davvero grande e respira l’odore della vita pura e dorata, non ancor intorpidita dalle corruzioni adulte, dai tradimenti adulteri, dalle invidie e dai pettegolezzi, da quest’imperioso obbligo che è il borghese, impiegatizio lavoro. Sì, son sempre stato io quello grande, in mezzo a un’umanità ruffiana di leccaculo, di donnette che trascorrono otto ore in ufficio, sette delle quali le occupano a bere caffè, a leggere riviste “scandalistiche”, a girarsi i pollici, smaltandosi le unghie, ad accavallar con malizia le gambe per ottenere promozioni, a chattare su Facebook, a sognare un divo di Hollywood che le porti via dall’orrenda lor esistenza pigra e putrescente.
Nella mia vita per la mia radicalità, per non esser mai sceso a compromessi con nessuno, mi son beccato le patenti più abbruttenti, infamanti e calunniose. Da adolescente, un idiota mi apostrofò con impertinenti allusioni davvero riprovevoli.
– Sai che assomigli a Erasmo da Rotterdam? Mente fervida e fantasiosa, ma fu diagnosticato pazzo.
Ah ah, che ridere, quante bazzecole e immonde maldicenze ho dovuto sopportare, oh, che tedio e che angoscia resistere alle crudeli congetture falsissime sulla mia persona, grazie alla mia elevata signorilità smentirle. Quando si è troppo signori, si vien presi per coglioni o peggio per buffoni, ma che altro puoi fare dirimpetto a tanta superficiale arroganza se non sbuffare, fumare e aspettar che ogni lercia bugia, allo sciogliersi della verità della tua anima autenticamente sincera, sfumi e si sghiacci come neve al Sole?
Oh, mio Sole. Sì, adoro le donne, ne vado matto, a proposito di pazzia…
E perché mai dovrei andare a vedere il film Manuel quando posso immaginare notti d’amore succose con la Sylvia Kristel di Emmanuelle? Sì, Kristel, sono un povero Cristo, nelle tue gambe perdutamente cristallizzami, verrà… lo sgocciolio del mio duro cuore in te incarnato, incastonato, incanalato, infilato e compenetrato, ma presto ancor mi rizzerò per nuove, prelibate effusioni sanguigne nell’erigerti tutto il mio giammai spossato ardore.
Sì, vado da una psichiatra e lui ride di me come Jeremy Irons con De Niro in Mission…
– Dottore, perché ride? La sua risata è una derisione.
– Rido, perché vedo di che ridere…
Sì, Irons rivolge a quel De Niro inconsolabile le testuali parole, riguardate il film.
E lo psichiatra rise, rise di gusto, e poi mi disse:
– Rido perché non sai chi sei o, se lo sai, sei un mentitore della tua grandezza per far felici i mediocri. Così i mediocri potranno dire… ah, ora è contento, ha un lavoretto, una ragazza con cui “scalda” le sue tristezze momentanee, e dunque è normale. Tu non hai bisogno di essere normalizzato. Lasciamo il concetto di normalità ai poveri imbecilli. Nessuno può offrirti soluzioni curative, perché tu non soffri di niente, se non dell’immensità della tua anima che, per sua natura inquieta e tormentata, è giusto che talora, a tali ore, talvolta o anche a tavola, si spezzi, si dilani, si arrabbi e polemizzi, è giusto che viva perché sei vividamente vivo. Nessuno può offrirti garanzie pedagogiche perché l’educatore sei tu in mezzo a questi pagliacci edonistici, a queste persone doppie e ipocrite, potresti illuminarli sul Cinema, sulla poesia, sulla Letteratura che l’imbarbarimento odierno sta spazzando via, e nessuno può offrirti “sanazioni” progettuali, perché tu sei il progetto di te stesso. Lascia ai palazzinari e agli ingegneri arricchitisi i loro castelli di cartapesta. Dedicati alla tua anima, innaffiala ogni giorno, non spegnerla né irreggimentarla in basamenti fallaci dell’ego, non “sovrastrutturarla”, ma sguinzagliala con obiettiva ponderatezza, e poi con energica destrezza.
Hai capito quello che ti ho detto?
Non combinar malestri ma sii, eccome, ambidestro, sfodera colpi mancini agli stronzi e ai bugiardi, e con lesta prontezza usa un gancio destro di genialità, sferrato agli uomini di scarsa attendibilità.
Oh, conosco invero io la realtà più di tanti uomini di finta volontà.
E voglio raccontarvi questo. Nel 2005, se non erro, io che errante son appunto errabondo ma non cagasotto come Don Abbondio, erroneamente a una ragazza mi posi ma alla fin fine non glielo porsi. Porsi, passato remoto di porgere, non porgetti, ma quali progetti! Presi il treno e andai ancora a Roma. Lei mi aspettò alla stazione e io mi presentai indubbiamente fuori forma, con una discreta pancia e un alito da birra. Ma lei fu molto graziosa e non mi offese, anzi, mi fece entrare… in macchina, dicendomi di affrettar le cos(c)e perché doveva poi andar a goder della Notte Bianca.
Ho detto tutto.
– Scusa, tu ti sei fatto tutti questi chilometri solo per scopare?
– Sostanzialmente sì. Ma ora che t’ho visto dal vivo credo che andrò a dormire…
Perché io dormo sempre, anche quando sono più sveglio di tutti.
Sai, adesso potremmo davvero scopare. Poi tu potresti innamorarti, al che t’ingelosirai e mi perseguiterai come Glenn Close di Attrazione fatale, e questo splendido momento fatato sarà orribilmente deturpato e sciupato.
Sì, più i miei coetanei invecchiano e più diventano brutti, soprattutto nell’anima. Io più invecchio e più ringiovanisco, soprattutto nell’uccello. Uccello libero, un falco, non un falso, uno come Lincoln Hawk.
di Stefano Falotico
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