Adesso, forse, è sanamente deficiente ma, in questo dondolar nella “scemenza”, ha trovato l’ancoraggio incoraggiante, raggiantissimo, alle vere pulsioni passionali del suo cuore indomito, adamantino come quello di un cavallerizzo splendente nel tramonto ossigenante di suoi sogni ancora albeggianti. E non deceduti né trapassati, nonostante siano un po’ (de)caduti. Non ancor decapitato/i.
Sì, sono ermetico e in questo ermetismo mi rendo anche eremitico, lasciando che la massa si gu(a)sti nelle più frivole sconcezze, sempre procacciatrice, com’è per sua indole carnale, di accoppiamenti triviali e animaleschi, perché accoppiandosi pensa di sanare i suoi stress quotidiani. State lontani dalla gente “normale”, vorrà solo istruirvi, dunque distruggervi, irretirvi alla falsa, morigerata compostezza della fiera delle banalità, soffocandovi nei vostri slanci e dandovi appellativi di cappellai matti se alle loro regole caudine non vorrete abdicare. Io non rimpiango le mie scelte, oramai son radicate nel mio carattere docile quando al mattino mi sento “sveglio”, irruento quando qualcuno vuol farmi apparire per quello che non sono, costringendomi, dietro ricatti e meschine provocazioni, a voler aderire all’immagine distorta che lui vorrebbe proiettarmi per “fini” cattiverie dettate solo dalla sua perenne insoddisfazione. Quindi, in questo mio orgoglio restaurato e non ancor cedente all’etichette che vorrebbero traviarmi, affossarmi e immiserirmi, soprattutto nell’anima, (r)esisto con la costanza di un uomo che, nonostante le batoste e i vergognosi affronti, le bugie più maligne e le burle più figlie della piccineria tristissima di chi si pensa meglio di me, crede alla vita nel suo disegno strano. Non profetizzo nessun futuro “stabile” per me, perché son nato ribelle, ripeto, agli schemi prefabbricati e sono l’incarnazione più al(a)ta di un’insopprimibile angoscia, che reputo essere salvifica, la fonte inesauribile della mia creatività e dell’essenza più sincera del mio io profondo, non traviabile. Nonostante spesso dal mondo scompaia e non mi allineo a chi vorrebbe impaginarti nella relegazione di qualche certezza, così si mette a posto la coscienza e vive nell’illusione di averti “schedato”. Che orrore. Come se fossimo, noi umani, dei prodotti di qualche casellario. E avessimo smarrito la pienezza delle nostre complicatezze, delle nostre unicità. Ma, si sa, in una società che annienta e “lobotomizza” le individualità, per molti è più comodo volerti far scivolare in qualche abietto reparto delle ovvietà, figlie delle frasi fatte, di quella vita metodica e “incanalata” che ho sempre, lo asserisco con estrema vanità saccente, rifiutato e stroncato in toto. Prediligendo anche le mie ansie, che non sono cagionatrici di “disagio”, bensì l’attracco a una saggezza che guarda al mondo da prospettive più visionanti l’insieme, la totalità dell’essere nel suo farsi, disfarsi e poi ricomporsi, creare e ricrearsi, rigenerarsi e rinascere sempre in nuove, esaltanti, vitali forme. Sono un camaleonte e, quando io stesso penso di aver capito qualcosa di me, svio le spiegazioni che mi diedi per sviare in altre vi(t)e.
Insomma, avrei poco da credere a tutto e a niente. Ma nei miei nichilismi mi scopro più credente di quanto sembri, nonostante sia agnostico, probabilmente ateo, sostanzialmente non un coglione da Ateneo.
di Stefano Falotico
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